martedì 12 dicembre 2023

 

TORNA ALLA HOME 


Dal Palazzo Baeli al Palazzo dei Marchesi Proto: le fonti

a cura di Massimo Tricamo

 

§ I

Il matrimonio del 1655

Il “palazzo grande” dei Baeli, oggi noto come Palazzo Proto, dominava la piazza del Carmine già nel 1655. Proprio in quell’anno un quarto della proprietà dello storico edificio veniva dato in dote, per accordo matrimoniale, a Giuseppa Baeli, una delle figlie del barone di S. Nicolò Don Onofrio Baeli, la quale andò in sposa all’età di 16 anni al figlio di Don Mario Cirino, barone di S. Basilio.

In particolare agli sposini sarebbero spettati botteghe e mezzanini dell’ala prospiciente piazza del Carmine, precisamente la porzione sita tra la cantina dell’olio e la farmacia con doppia entrata, che oggi come allora, a distanza di ben tre secoli, caratterizza a pian terreno il versante sinistro della facciata dell’edificio, pervenuto in eredità nella prima metà del Settecento ai Proto.

Nella foto risalente agli anni Cinquanta il farmacista si rilassa sull’uscio.

 

A di diecinovi gennaro octava indittione mille seicento cinquanta cinque 1655

Capitoli del felice, prospero e benedetto matrimonio in nome del Signore felicemente da contraherse per verba de presenti et mutuo consenso, da qui innanti d’intervenire secondo l’uso, constume e consuetudine de’ Romani, e sicome si dice alla grega grecaria [in conformità alle norme del diritto romano, ndr], in perpetuum et infinitum, fra la signora Donna Giuseppa Baieli, figlia legitima e naturale del condam [quondam, defunto, ndr] signor Don Onofrio Baieli, barone di Santo Nicolao et regio secreto di questa Fidelissima Città di Milazzo, et della signora Donna Clara Fiore Baieli, vivente, olim iugali, giovana vergine in capillo d’età d’anni sedici in circa, sposa, d’una parte, et il signor Don Giovanni Cirino, figlio legitimo e naturale del signor Don Mario Cirino, barone di S. Basilio, e della signora Donna Isabella Cirino et Stagno, iugali, sposo, dell’altra parte (…).

Et ancora essi signori dotanti, in conto delli soprascritti onze 8000, hanno dotato e dotano allo sopradetto signor sposo un quarto d’un loro palazzo isolato sito e posito in questa predetta città di Melazzo, in frontespitio della chiesa del convento di Nostra Signora del Carmine, consistente nell’infrascritte poteghe e stanze di sopra, cioè quelle quattro poteghe, una con le loro stanze di sopra, come si ritrovano della parte verso levante, incominciando da quella potegha nella quale al presente habita loherio nomine mastro Placido di Loijsi, che confina con il magaseno delli cantini dell’oglio, ad andare verso menzogiorno insino alla cantonera dove vi è la pottegha dell’aromatario [farmacista, ndr] a due porte, ed altre tre potteghe, con sue stanze di sopra, come si ritrovano, con di più la cocina e sue stanze di sopra, al presente gabellato a Don Antonio Proto, contigua alle dette stanze [Archivio Storico e Biblioteca “Bartolo Cannistrà” del Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo” di Milazzo, fondo marchesi Proto, Eredità Baeli, vol. V, ff. 387 e segg.]

 


 


§ II

Il testamento di Don Giovanni Onofrio Baeli (1689)

I Baeli. A ricordarli ancor oggi è il toponimo dello slargo più centrale di Milazzo. E a due passi da Piano Baele, ai piedi dell’artistico portale d’ingresso della chiesa del Carmine, fanno ancora bella mostra le “armi di famiglia”, ossia il loro stemma raffigurante un leone rampante sulle onde del mare. Ai Baeli, alla loro straordinaria potenza economica e politica, vengono di seguito dedicate alcune brevi note ricavate dalle antiche carte d’archivio oggi custodite presso il Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo”.

Non ebbe lunga vita Don Giovanni Onofrio Baeli, barone di S. Nicolò e titolare della Regia Segrezia di Milazzo, ossia l’ufficio periferico dell’amministrazione finanziaria. Quando morì nel 1689 aveva appena 45 anni. Esalò il suo ultimo respiro in quello che i milazzesi chiamavano il “Palazzo grande dei Baeli”, l’odierno Palazzo Proto di piazza Caio Duilio, storico fabbricato che le carte d’archivio di fine Seicento associavano già allora al toponimo “Piano del Carmine”. Prima di morire chiese di essere seppellito a S. Papino, nella cappella del SS. Crocifisso fondata dai suoi antenati e prescelta già nel 1642 come estrema dimora da suo nonno Francesco Baeli.

Don Giovanni Onofrio lasciava ai suoi figli, ancora bambini, un cospicuo patrimonio. A partire dall’immensa Baronia di S. Nicolò al Promontorio, pervenutagli in eredità da suo padre Onofrio, che nel 1638 otteneva dal Comune la concessione dei terreni e delle coste compresi tra la Baia di S. Antonio e Punta Mazza, e soprattutto da suo nonno Francesco, al quale i rampolli dell’aristocratica famiglia Baeli dovevano quasi tutta la propria prosperità economica e politica. Lui stesso, Giovanni Onofrio, nel 1682 aveva ingrandito ulteriormente i propri possedimenti della punta estrema del Capo acquisendo da un Bucolo anche la proprietà degli appezzamenti «delle Scale», siti a Sud del Cirucco. Suo padre Onofrio nel 1640 aveva acquisito pure la lanterna, vendutagli dall’ultimo discendente di Masulla Pellizza, sposatasi nel 1565 e figlia del soggetto che fece edificare l’antico Faro di Capo Milazzo.

Sfogliando il testamento redatto nel 1689 dal giovane barone Giovanni Onofrio in fin di vita, si legge che lasciava ai figli anche il grande Palazzo di Piano del Carmine, in verità solo la metà, ossia la porzione centrale prospicente la chiesa ed il convento del Carmine ed il vicolo S. Agostino. La restante metà era stata in precedenza assegnata in quanto ad un quarto alla sorella Giuseppa Baeli, coniugata con l’aristocratico Giovanni Cirino, cui spettò la porzione del palazzo rivolta verso Sud (odierna via Chinigò), ed in quanto al rimanente quarto all’altra sorella Margherita, coniugata con Don Onofrio Ortiz, cui spettò la porzione rivolta verso Ponente (odierna via Umberto I).

Tra i lasciti che figurano nel testamento anche un’abbondante argenteria ed una ricca quadreria, ivi inclusi i tre “ritratti in piede” raffiguranti, rispettivamente, Don Giovanni Onofrio, suo padre Onofrio, deceduto giovanissimo nell’aprile 1643, e suo nonno Francesco, deceduto appena un anno prima, nel 1642. Dei tre ritratti, custoditi nel 1689 nel grande Palazzo del Piano del Carmine, soltanto uno giunse sino ai giorni nostri, quello del padre Onofrio, una grande tela rettangolare di m. 1,55 x 2,07. Pervenne per via ereditaria al barone Giuseppe Lucifero di S. Nicolò, il quale nella primavera del 1928 lo inviò a Roma al restauratore Casimiro Tomba a mezzo trasporto ferroviario. «Il dipinto del mio antenato del 1640 circa - scriveva il barone - è in cattive condizioni e deve essere riportato su altra tela e ritoccato in molte parti (…). Io desidero che, compatibilmente con la estetica del quadro, sia ridotto in altezza e larghezza, ma principalmente in altezza, pur restando la figura intiera da capo a piedi. Sull’angolo a destra in basso vi è il nome ed il titolo del Baeli che io desidero rispettato. Quando Ella avrà riportato la tela su altro telaio, che io desidero sia munito di caviglie per stendere bene la tela, La prego darmi le nuove misure, perché io possa provvedere allo acquisto della cornice». Il ritratto raffigurante Onofrio Baeli venne purtroppo trafugato nel 1989 nella Villa Lucifero del Promontorio, sede della omonima fondazione, dal cui archivio provengono le due foto qui pubblicate - di qualità non ottimale -  scattate nel 1977 in occasione di una perizia disposta dalla stessa Fondazione Lucifero.

Tra i lasciti di Don Giovanni Onofrio il testamento del 1689 menziona persino denaro occultato da suo nonno Francesco nel grande Palazzo del Piano del Carmine. L’insolita disposizione testamentaria suscita non poco stupore: «io sudetto testatore declaro che ho notitia che il quondam (fu, ndr) Don Francesco Baeli, mio avo, habbia conservato nascostamente dentro il Palazzo, dove al presente habito, molta somma di denari, o in oro o in argento che fosse, e insin hoggi non ho potuto sapere in qual luogo fosse conservata. Pertanto voglio che li detti miei figli e heredi universali habbiano di far diligenza trovare detto denaro, quale trovato se l’habiano da dividere equalmente tra di loro e non altrimente».

Erede universale di Don Giovanni Onofrio fu l’unico suo figlio maschio, Don Francesco Emiliano, cui spettò il titolo di barone e l’intera Baronia di S. Nicolò, ma anche lui morì giovanissimo nel 1707. Furono ben tre, una dopo l’altra, le generazioni di baroni Baeli ad essere strappate troppo in fretta all’affetto dei propri cari. Lo stesso Giovanni Onofrio era subentrato nell’eredità al fratello maggiore Francesco, anch’egli deceduto in giovane età. Di lì a poco il cospicuo patrimonio immobiliare dei Baeli, tonnare e vigneti compresi, sarebbe pervenuto per via ereditaria alle famiglie dei baroni Lucifero e dei marchesi Proto.

A conclusione di quanto sin qui esposto, qualche breve nota sugli schiavi “milazzesi” del barone Don Giovanni Onofrio. Tra i beni lasciati in eredità nel 1689 dal quarantacinquenne Regio Segreto e barone di S. Nicolò figuravano anche quattro schiavi. Una perizia stabiliva il valore di ciascuno di essi: 15 onze era il prezzo dello «schiavo bianco cristiano di nome Giuseppe». Stessa cifra per la schiava bianca Maria e per lo «schiavo turcho di nome Demis». Otto onze era invece il valore attribuito alla «schiava cristiana olivastra nominata Pasca».  I loro nominativi e rispettivi prezzi figurano in un inventario di beni ereditari, assieme ad ancore di tonnara, olio lampante, botti, muli, selle e tanto altro. Due di essi, Giuseppe e Maria, furono destinati nel grande Palazzo del Piano del Carmine al servizio dei giovanissimi figli del barone, per il mantenimento dei quali si aggiungevano una balia per i più piccoli, una carrozza con due mule e cocchiere e, tra l'altro, le spese per il loro vestiario che ovviamente doveva essere adeguato al rango di giovanissimi rampolli di una delle famiglie più aristocratiche e facoltose del Messinese, come ebbe peraltro a ricordare in quello stesso anno 1689 Diego Le Donne, amico intimo del  barone Giovanni Onofrio e fratello di Antonio, antenato diretto del prof. Domenico Le Donne. Fu proprio Diego Le Donne ad essere prescelto dal barone Baeli, nel novembre 1687, quale padrino di battesimo dello “schiavo adulto” cui fu imposto il nome di Giuseppe.

Quella di avere schiavi al proprio servizio non era certo una novità nella potente famiglia Baeli. Ormai in fin di vita, il 24 dicembre 1642, il barone Francesco Baeli, nonno di Don Giovanni Onofrio, dispose per testamento, tanto per la sua anima che per remissione dei propri peccati, di lasciare “franchi e liberi” sia la sua schiava Anna che il suo schiavo Bernardo Baeli. Vincolando tuttavia i suoi eredi, nel caso in cui Bernardo avesse deciso di farsi frate nel convento di S. Papino, a «darci l'habito sue vestiario per l'ingresso di detta religione».

 

Eodem [21 maggio 1689, ndr]

Didacus Le Donni huius Fid.mae Civitatis Mylarum pres. cogn. (…)

Sa esso testimonio qualmente alcuni giorni sono havendosi morto e passato da questa a miglior vita il quondam Don Onofrio Baeli olim Barone di Santo Nicolò e Regio Secreto di questa Città di Melazzo con haversi fatto il suo sottoscritto testamento per l’atti di notar Andrea Muscianisi sotto li 22 marzo 1689 aperto e pubblicato per l’atti suddetti sotto li 14 aprile sequente 1689, per lo quale testamento il detto quondam Don Onofrio Baeli lasciò heredi universali in tutti e singoli suoi beni mobili e stabili (…) et altri a Donna Chiara, Don Emiliano, Donna Margarita, Giuseppa e Don Fortunato Baeli, suoi figli legittimi e naturali, nati e procreati da esso testatore con Donna Caterina Baeli e Sanginisi. E lasciò balia tutrice, et pro tempore curatrice di detti suoi figli, alla detta Donna Caterina Baeli, sua legittima moglie e madre di detti suoi figli. La quale Donna Caterina Baeli, madre, dovendo alimentare detti suoi figli giusta la condizione di detti suoi figli e facultà di detto quondam loro padre e farsi  ta[s]sare  detti alimenti per il giudice ordinario di questa Città,

 

se li devono tasare meno per vitto di detti quattro suoi figli minori per ogn’anno di onze 30;

per una balia per servizio di dui figli minori onze 6.12 di salario per ogn’anno e per ragione di suo vitto ogn’anno onze 12;

per vitto di dui schiavi hereditarij, uno mascuolo nominato Giuseppe e l’altro femina nominata Maria, per servizio di detti suoi figli, per ragione di loro vitto non si devono tasare meno di onze 18 l’anno; e per vestimenti di essi ogn’anno onze 8;

per un paggio per servizio di detti figli per ragione di suo salario per ogn’anno onze 12;

per vestimenti li detti quattro minori per ogn’anno onze 18;

per una persona per assistere e darci cura e soprastare alli beni stabili hereditarij per suo salario onze 12 per ogn’anno;

e per manutenimento d’una carrozza con due mule e salario del cucchiero per ogn’anno onze 40;

e più per resto più che meno che in tutto fanno la somma di onze 156.12.

 

E questo esso testimonio lo sa, dice e depone come prattico e conoscente con tutte le sopradette prenominate persone e sa le cose del modo detto di sopra (…) [Archivio Storico e Biblioteca “Bartolo Cannistrà” del Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo” di Milazzo, fondo marchesi Proto, Eredità Baeli].

 


 

Il ritratto raffigurante Onofrio Baeli venne purtroppo trafugato nel 1989 nella Villa Lucifero del Promontorio, sede della omonima fondazione, dal cui archivio provengono le due foto qui pubblicate - di qualità non ottimale -  scattate nel 1977 in occasione di una perizia disposta dalla stessa Fondazione Lucifero.



§ III

I danni dell’Assedio di Milazzo del 1718/19

Dalla cronaca del coevo Domenico Barca. Si precipita una delle facciate di Palazzo Baeli, colpito varie volte da bombe e cannonate. Soldati morti e feriti a causa dei bombardamenti a tale palazzo in cui erano acquartierati. Una bomba colpisce la casamatta costruita all’interno dello stesso palazzo dal generale austriaco Ros per meglio tutelarsi dalle artiglierie nemiche 


 

22 febbraio 1719 - Da più tempo che il palazzo grande nominato di Baeli nel piano del Carmine è stato rovinato per la quantità di bombe e cannoni disparati dalli fortini delli Spagnuoli, cossì d’innanzi di Levante come da parte da dietro di Ponente, con avere restato molti soldati uccisi ed altri feriti per essere stato quartiero di essi. E tutta la facciata che è nella parte di Scilocco e Libeccio del detto palazzo è precipitata al suolo. E benché nel medemo pure abitasse il signor generale Ros, tudesco eretico, con aversi fatto una casamatta dalla parte di tramontana per non patir alcun accidente, pure una bomba venne sopra detta casamatta e molti pezzi di essa penetrarono sino al suolo nella camera ove stanzava il signor generale sudetto. E per sua fortuna si retrovò fora di essa, altrimenti avrebbe patito alcun sinistro incontro. Forse per essere molto elemosiniero (benché eretico) Dio volse preservarlo per redursi alla nostra catolica fede.

 

6 marzo 1719 - Nel medemo giorno una bomba, fra l’altre, crepò nel palazzo grande di Baeli, nel piano del Carmine. E s’osservò che si fracassarono molte camere, con l’abbrugiamento di molto mobile di qualche considerazione [Domenico Barca, Raguagli dell’Assedio dalli Spagnuoli fatto nell’anno 1718 e 1719 nella Fidelissima e Leale Città di Milazzo con alcune considerationi al detto assedio, ms. pubblicato di recente da Giovanni Lo Presti e Massimo Tricamo in Sotto Assedio, Lombardo edizioni, Milazzo 2019]

 


La veduta dell'ing. Gabriele Montani, coeva all'Assedio di Milazzo del 1718/19, mostra l'imponente mole del Palazzo Baeli, che allora occupava l'intero isolato su cui oggi sorgono il Palazzo dei Marchesi Proto e l'attiguo condominio che ospita a pian terreno la filiale Unicredit, già Banco di Sicilia (cfr. Domenico Barca, Raguagli dell’Assedio dalli Spagnuoli fatto nell’anno 1718 e 1719 nella Fidelissima e Leale Città di Milazzo con alcune considerationi al detto assedio, ms. pubblicato di recente da Giovanni Lo Presti e Massimo Tricamo in Sotto Assedio, Lombardo edizioni, Milazzo 2019)

 

§ IV

Rifacimento facciata, primo contratto d’appalto (1763)

Die vigesimo m.s martj 1763

Innanti noi notaro e testimoni infrascritti, personalmente costituito mastro Giacomo Amato della Città di Messina, al presente in questa fedelissima Città di Milazzo, da me notaro conosciuto, in virtù del presente ed ogni altro miglior nome e modo [segue termine di ardua trascrizione, ndr] a proprie spese di detto di Amato promise e promette e si obbligò ed obbliga allo spettabile Don Francesco Maria Proto, Barone dell’Albero, di questa suddetta Città, presente anche da me sudetto notaro conosciuto, fare tredici fenestroni di pietra di Siragusa nel Palazzo di esso spettabile di Proto in questa Città e nella facciata che dona a frontespizio del Venerabile Convento di Santa Maria del Carmine e della fontana nuovamente fatta, confinante da parte di mezzogiorno con casa di Don Giovanni Cirino e da parte di tramontana con le stanze e quarto del fu Don Visconte Proto.

Cioè sette fenestroni nel secondo piano, dovendo essere sudetti finestroni con li loro cagnuoli e cagnoletti con suoi balate, di altezza, larghezza, manufattura, lavoro, con le cornici e tutto altro conforme [segue termine di ardua trascrizione, ndr] ed uguali al disegno, e niente meno. Quale disegno esiste in potere di me sudetto notaro, sottoscritto da detto spettabile di Proto detto di Amato e di me infrascritto notar Giuseppe Majolino.

Dovendo essere li balconi con li cagnuoli di gettito fuori con tutta la balata di palmi tre ed un terzo e li balconetti il cagnuolo di mezzo un palmo e l’altri due un quarto di palmo, con sue balate a petto di oca (?).

Come anche si obbliga detto di Amato a sue spese come sopra fare quattro pilastri di pietra di Siragusa di mezzi pezzi fuori della zoccolatura e terminarli sino sotto la prima fascia del primo ordine, con dovere anche fare la sudetta fascia di lunghezza di detti quattro pilastri di pietra di Siragusa. Dovendo essere tutta sudetta opera di finistroni, pelastri e facciata bene e magistrevolmente lavorati e travagliati secondo richiede la sua arte, uguali e giusta la forma di detto disegno.

Dippiù detto di Amato, presente come sopra, si obbligò ed obbliga a detto spettabile di Proto fare a proprie spese di detto di Amato il porticato novamente di pietra di Siragusa, intagliato e lavorato uguale e giusta la forma del disegno che manderà detto di Amato a detto spettabile di Proto, con dovere fare l’armi e quelli mettere sopra detto porticato. Dovendo essere detto porticato bene e magistrevolmente fatto secondo richiede la sua arte e giusta detto disegno che manderà detto di Amato di altezza e larghezza a giusta proporzione, obbligandosi, conforme si obbliga detto di Amato a sue proprie spese, di mastria, materiale, ponti di legname e tutto altro che bisogna, smurare tutti li finestroni e fenestre, balconi e porticato che al presente esistono ed a sue spese, come sopra, di maestri, calce, gisso, ponti di legname, corde e tutt’altro bisognevole situare e mettere sudetti finestroni, fascia, pelastroni e porticato in detto Palazzo bene e maggistrevomente affizzati (?) e situati, giusta detto disegno, senza entrare detto spettabile di Proto a cosa alcuna. E doppo situati sia tenuto ed obbligato, conforme si obbliga detto di Amato a sua spese come sopra, ammorbare di pasta tutta la facciata di detto Palazzo di detto spettabile di Proto, che dona a frontespizio di detto Venerabile Convento del Carmine di questa sudetta Città. Quale tutta sudetta opera di fenestroni, pelastri, fascia, porticato, ammorbatura ed ogni altro detto di Amato, presente come sopra, sia tenuto ed obbligato, conferme si obbliga, fare e terminare a detto spettabile di Proto infra il termine di anno uno correndo di oggi innanti, dovendo essere terminato nel mese marzo dell’anno entrante 1764, a tenore di detto disegno unde

Per lo prezzo e nome di prezzo, attratto di pietra di Siragusa, mastria, manifattura, calce, gisso, smariatura e [segue termine di ardua trascrizione, ndr] di detta opera, quanto materiale e tutto altro bisognevole, sino che sarà lesto e terminato detto travaglio, in tutto di onze centosessanta di denari [segue termine di ardua trascrizione, ndr] di accordio fra di loro, compresi in dette onze 160 onze venti che sono prezzo del detto porticato. Quali sudette onze centosessanta, intero prezzo di tutta sudetta opera, detto spettabile di Proto promise e si obbligò ed obbliga pagare a detto di Amato in quattro soluzioni, a ragione di onze quaranta in ogni anno e del modo seguente. A conto della prima paga di sudette onze 40, detto di Amato confessa avere ricevuto da detto spettabile di Proto onze dieci di denari contanti in moneta di oro, conforme costa, e le altre onze trenta s’obbliga pagare a tagliata di tonnara dell’anno presente 1763 in prezzo di tutte tonnine delli pezzi che vorrà detto di Amato. E non volendo tonnine detto spettabile di Proto si obbliga consegnare al detto di Amato tanto vino mustale nella vendita prossima ventura 1763; e non volendo vino mustale si obbliga detto spettabile di Proto consegnare tanto vino di sudetta vendita 1763 di buona qualità mercantibile e recettibile in detto anno 1763, con doversi liquidare il prezzo di sudette tonnine, mustale e vino al prezzo che  [seguono due termini di ardua trascrizione, ndr] come in piazza alla giornata in tempo di detta consegna. Altre onze quaranta per la seconda paga detto spettabile di Proto si obliga pagargli a detto di Amato in denari contanti nel mese maggio dell’anno entrante 1764 e li restanti onze 80, che sono due paghe, si obbliga detto spettabile di Proto pagargli al detto di Amato in denaro contanti, onze 40 nel mese maggio 1765 ed onze 40 nel mese maggio 1766 in pace unde alias unde.

Escluso però di detto desegno, il quale non devesi (?) fare, il cornicione che al presente esiste, tutte le porte e finestre di sotto con le grade e zoccolature dei pelastri, ch’esistono a riserva del porticato che devesi fare come sopra obbligato. Che tutto il materiale d’intagli di tutte le finestre, balconi e porticato che detto di Amato deve trapiantare restano tutti per conto  del sudetto spettabile di Proto, senza entrare detto di Amato a cosa alcuna de pacto unde. Come anche escluso di detto disegno il quarto di detto Palazzo del sudetto Don Visconte Proto che sono quattro fenestroni, non ostante che apparono designati in detto disegno, quali non [segue termine di ardua trascrizione, ndr] detto di Amato quelli fare e non altrimente unde.

Testes Don Antoninus [cognome illeggibile, ndr] et magister Rosarius Maiorana.

Ex actis Iosephi Majolini pubb.i Not.i huius Mylarum urbis [Archivio Storico e Biblioteca “Bartolo Cannistrà” del Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo” di Milazzo, fondo marchesi Proto].

 

 

§ V

Fornitura ringhiere

Die decimo nono mensis decembris duod. Ind. 1763

Magister Ioseph Imbesi, magister Franciscus Malalana et magister Xaverius Scarpaci huius Fid. Mylarum urbis (…) una simul et in solidum (…) se obligaverunt et obligant Sp. Baronis Don Franciscus Proto et Patti (…) ut dicitur a loro proprie spese fare dodeci balconi di ferro nuovo, tanto grande che piccoli, di bona qualità e condittione, mercantibile e recettibile, dovendo essere uguale a quello balcone di ferro che ritrovasi nella sala del detto Spettabile di Proto, quali servono per il Palazzo del detto di Proto posto nel Piano del Carmine. Incominciando a travagliare d’oggi innanti e consegnarli secondo saranno richiesti dai mastri muratori che stanno facendo detti balconi di pietra, e darli finiti di tutto punto nell’ultimo del mese di marzo prossimo venturo 1764, bene e magistibilmente secondo richiede l’arte in pacem alilas unde (…)

Pello prezzo di tarì uno e grana sei per ogni rotolo, così d’accordio fra di loro. Quale prezzo il sudetto Spettabile di Proto, per quanto sarà, s’obligò pagarlo alli detti d’Imbesi, Malalana e Scarpaci di questo modo, cioè. In quanto alla medietà di detti blaconi in tanta tonnina salata di tutto sciortimento, secondo i prezzi che vende lo Spettabile Don Antonino Proto e Mustaccio. E l’altra medietà in denari contanti. In conto li sudetti d’Imbesi, Malalana e Scarpaci confessarno d’avere ricevuto dal detto Spettabile di Proto onze otto di denari contanti in moneta d’oro, come a noi costa. In quanto alla barrili di tonnina, il sudetto Spettabile di Proto s’obligò consegnarli ad ogni semplice richiesta delli detti d’Imbesi e q.ti, e tutto il restante pagarlo d’un subito finiti saranno li detti balconi in pacem alias unde.

Patto che volendo il sudetto Spettabile di Proto altra robba di ferrame attinente alli detti balconi, in tal caso li sudetti d’Imbesi e q.ti in solidum, come sopra, s’obligorno farla al prezzo come sopra, dovendo li medemi assistere allorquando si devono situare li sudetti balconi. Quali balconi devono essere travagliati d’una mano deputata (…).

Testes Don Pauus Proto et Don Petrus Proto et Passaturi.

Ex actis mei Not. Matthei Filoramo reg. p.ci Fid. Urbis Mylarum [Archivio Storico e Biblioteca “Bartolo Cannistrà” del Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo” di Milazzo, fondo marchesi Proto].

.

 

§ VI

Esecuzione volta del “camerone”

Die 30 m.s Ian.rij duod.ae Ind. 1764

Innanti noi notajo [Matteo Filoramo di Milazzo, ndr] e testimonij infrascritti personalmente costituito mastro Litterio Bevacqua della Città di Messina ed al presente in questa Fidelissima Città di Melazzo, presente da me notaro conosciuto, stipulante, promese e promette e si obligò ed obliga allo spettabile barone Don Francesco Maria Proto e Patti di questa predetta Città, presente anche da me notaro conosciuto, fare a sue proprie spese la volta del cammarone a cielo di carrozza bene e magistribilmente allapazzato ed inchiodato con chiodi ottantini, ben visto a mastro Francesco Mirenda, bene incannato, accompagnati li cerchi con chiodi ottantinelli. Con doversi detta volta bene ingessarla a cerco coverto, incrustarla di calce e gisso e poi darla di pasta, stocchiarla con suo quatrone e [segue parola di ardua trascrizione, ndr] con stucco, conforme quello dell’anticamera, con fare il damuso liscio di tavole di pioppo di bona qualità.

Canne, cerchi, chiodi, gisso, calce, arena e mastria si computano per canne trentaquattro, dovendo stocchiare la detta volta uguale all’altra dell’anticamera con suo quatrone accentinato e [segue parola di ardua trascrizione, ndr] ed [segue parola di ardua trascrizione, ndr] uguale della volta, con di sotto suoi mazzoli nelli cantoneri.

E parimenti deve pecuniare tutte le facciate di detto cammarone con ricciarle e darle di pasta si computano in canne ventiuno, deve levare le catene di sopra e poi metterle di sotto il solaro con addentare bene li bordoni di tutto il solaro con dette catene, con fare li pertuggia ed intivarli con li mezzi squatri con legni di cinque attratto a tutti li bordoni a spese ed interesse del detto di Bivacqua. Con dover mettere un legno di mezzo tratto o si squartato, con dover detto spettabile di Proto dare tutto il ferramento delle catene e chiodi per li medemi [segue parola di ardua trascrizione, ndr], deve mettere detto di Bevacqua li chiodi dell’incannato distante l’uno coll’altro oncie cinque o sei, deve mettere un corrione nel timpagnuolo di una porta e l’altra, li legna di muro e muro devono essere di due e mezzo a carrata, deve levare l’intavolatura di legname e deve fare di stucco. E per ultimo deve detto di Bevacqua fare tre porte secondo richiederà detto spettabile di Proto, tanto di lunghezza, che d’ogni altro, dovendo detto spettabile di Proto  mettere l’anteporte.

Quale travaglio di sopra si debba fare nel Palazzo del detto di Proto, posto in questa Città ed in contrata del Piano del Carmine. Quale travaglio deve essere riconosciuto dal detto mastro Francesco Mirenda. Quale si obbligò detto di Bevacqua consegnarlo e finirlo di tutto punto per li 10 del mese di marzo prossimo venturo 1764 in pace unde alias unde (…) Dello prezzo in tutto di onze 25.10 sì di accordio fra di loro, in conto del quale prezzo il sudetto di Bevaccqua confessò di avere ricevuto dal detto spettabile di Proto onze dodeci di denari contanti, come a noi costa, e tutto il restante il sudetto spettabile di Proto si obligò pagarlo al detto di Bevacqua, travagliando pagando ed alla fine saldarlo in pace unde alias unde.

Ed a maggior cautela e sicurtà del detto spettabile di Proto circa d’ademplire tutto quello e quanto nel presente si contiene, intercessero e pleggiorno mastro Emanuele e mastro Rosario Martines della Città di Catania e mastro Antonino Crapè della detta Città di Messina, ed al presente in questa predetta città ritrovati presenti da me notaro conosciuti una simul et in solidum etc.

Testes magister Fran.cus Mirenda et magister Ioseph Cambria magister Franc.ci [segue lacuna nella copia, ndr - Archivio Storico e Biblioteca “Bartolo Cannistrà” del Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo” di Milazzo, fondo marchesi Proto].

 

 

§ VII

Fornitura serrature ed altri ferramenti

Die trigesimo mensis Ianuarii duod. Ind. 1764

Magister Franciscus Malalana, magister Ioseph Malalana, magister Rochus Lo Presti et magister Xaverius Scarpaci (…) una simul et in solidum (…) se obligaverunt et obligant Sp. Don Franciscus Maria Protho et Patti (…) ut dicitur fare a loro proprie spese l’infrascritti ferramenti pel servigio di undeci finestroni faciendi da mastro Antonino Crapé, cioè.

In primis due calascendi di ferro nuovo di lunghezza di palmo uno e mezzo per ogn’uno.

Item un succhiaro alla spagnola di ferro lungo palmi cinque.

Item ferri alla genovesa para otto maschi e femine in tutto detto ferramento di sopra deve ascendere di peso di rotoli due e mezzo in circa.

Quali devono essere bene e magistribilmente secondo saranno richiesti da mastro Francesco Mirenda alla ragione di tarì due il rotolo.

E parimente devono fare sei calascendi per ogni finestrone, cioè tre lunghe di palmi cinque per uno e tre palmi due per uno, di peso di rotoli cinque e mezzo circa alla ragione di tarì 1.14 rotolo.

Item dobloni per ogni finestrone, para numero 32 a grana 2 per ogni doblone.

Item firmatura con sua chiave a martellazzo con sua piangetta di rame da parte di fuori per tarì 5.

Item due mandaletti di ferro con due ciappetti di rame e due bottonetti di rame tondi, una maniglia di rame ed una boccola a milinciana per il calascende per tarì 5.

Quali ferramenti servono per ogni finestrone ed invetriate al detto numero di undeci, incominciando a travagliare d’oggi inannti e consegnarli a richeista del detto mastro Antonino Crapé, quello stesso che deve fare l’opera di detti finestroni ed invetriate. Quali tutti devono essere bene e magistribilmente travagliati e riconosciuti dal detto mastro Francesco Mirenda in pacem alias unde.

Dello prezzo di tutto di tarì ventisette e grana diecisette per ogni finestrone, così d’accordio fra di loro. In conto li sudetti di Malalana e q.ti in solidum come sopra confessarono di avere ricevuto dal detto di Proto onze 5.4.14 come a noi costa. E l’altro restante il sudetto Spettabile di Proto si obligò pagarlo alli detti di Malalana e q.ti consegnati saranno detti ferramenti, li quali devono esser uguale alla mostra che li sudetti di Malalana e q.ti tengono in loro potere in pacem alias unde. (…)

Testes Rev. Abbas Don Antoninus de Andò et Don Ioseph Protho.

Ex actis mei Not. Matthei Filoramo reg. p.ci Fid. Urbis Mylarum [Archivio Storico e Biblioteca “Bartolo Cannistrà” del Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo” di Milazzo, fondo marchesi Proto].

 

 

§ VIII

Rifacimento facciata, secondo contratto d’appalto

Die 20 feb.is 1764

Essendo che per atti infrascritti sotto li 20 marzo 1763 mastro Giacomo Amato della Città di Messina s’avesse obligato allo spettabile barone Don Francesco Maria Proto a proprie spese dal detto di Amato fare tredeci finistroni di pietra di Siragusa nel Palazzo di esso spettabile di Proto nella facciata che dona a frontispizio del Venerabile Convento di S. Maria del Carmine, cioè sette finestroni nel primo piano e sei nel secondo piano, con li loro cagnoli e cagnoletti, con sue balate, d’altezza, larghezza manufattura, lavoro con le cornici e tutt’altro conforme si espressa ed uguali al disegno che esiste in potere di me infrascritto notaro sottoscritto da detti spettabili di Proto ed Amato.

Con aversi anche obligato fare quattro pelastri di detta pietra di pezzi fuori della zoccolatura sino sotto la prima fascia del primo ordine, con fare la sudetta fascia bene e magistrevolmente.

Parimenti fare un porticato di pietra di Siragusa giusta la forma del disegno che manderà detto di Amato, dovendo fare tutto a spese del detto d’Amato e situarli in detto Palazzo con mettere tutto l’attratto bisognevole di calce, gisso, maestria, porte di legname e tutt’altro, senza entrare detto spettabile di Proto a cosa alcuna.

Quale si obligò terminare nel mese marzo 1764 per lo prezzo in tutto di onze 160, compresi onze 20 prezzo del porticato, quale detto spettabile di Proto si obligò pagare in quattro soluzioni a ragione di onze 40 ogn’anno, avendo detto di Amato a conto ricevuto onze 10 per la prima paga a tagliata di tonnara 1763 e l’altre onze 30 per la prima paga deve pagarli a tagliata di tonnara 1763, onze 40 nel mese maggio 1754, onze 40 nel mese maggio 1765 ed onze 40 nel mese maggio 1766. Restando per conto di detto spettabile di Proto il materiale che si spianterà d’intagli, come meglio per detto contratto alle quali unde.

 

SEGUE DESCRIZIONE OPERE GIA’ REALIZZATE, ndr

In adempimento della sudetta obligazione  fu da detto di Amato fatto il porticato con quattro balconi di sopra, con due pilastroni a latere, tutte intiere con il cornicione di sopra. E possa la pietra di Siragusa valutarsi anche di quello esistea con [segue vocabolo di ardua trascrizione, ndr] alzato altre due palmi di muro. E fatto sopra li due balconetti del quarto superiore il finimento, e nel balcone di sotto aggiunto la cornice di resalto per maggiore adorno. Come anche nella camera di dormire fatto li due balconi con lo stesso ordine. Con avere detto spettabile di Proto pagato al detto di Amato tutto il sopra più fatto di detti pelastroni, cornicione, sopra più di pietra delle due balconetti e sopra più di cornice apposta nell’altri balconi, giusta la stima fatta da’ maestri periti per tutto quello che appartiene di soprappiù di pertinenza del detto spettabile di Proto pagate al detto di Amato onze 30 per saldo di onze 40 per la prima paga maturata a tagliata di tonnara 1763, come per apoca per atti infrascritti sotto li [segue lacuna nel documento, ndr] e resta dovendo per il totale saldo onze 120 a tenore di detto contratto.

 

SEGUE DESCRIZIONE OPERE DA REALIZZARE, ndr

Avendo detto spettabile di Proto pagato al detto di Amato palmi 300 di pietra di Siragusa bisognevole per il sopra più di tre pelastroni intiere che si devono fare, complimento del cornicione, parte di sotto per finimento delle balconi, che si devono fare. Che però li sudetti spettabili barone Proto e detto di Amato convengono e si hanno accordato tra di loro che sudetto di Amato, a sue proprie spese, dovesse terminare tutta la facciata del sudetto Palazzo con fare tre pelastroni d’alto a basso intiero, terminare il cornicione, e nel fine del Palazzo, che confina con casa di Don Giovanni Cirino, fare il muro mancante ad ugualare coll’altro muro. Ed infine situare uno de’ tre pelastroni intiere e fare tutta la facciata uguale a quello che attualmente esiste fatta e terminata, ove vi è il porticato, compresa anche la facciata del quarto del fu Don Visconte Proto. Nella quale facciata deve fare detto di Amato due balconi, uno nel primo piano e l’altro nel secondo, uguali a l’altri balconi. E di sotto fare una rosciada, seu grada, con fare il resto del muro in alto ed il cornicione uguale a quello fatto. E di sotto fare tre porticati di pietra di Siragusa uguali a quello che al presente esiste situato. E nella parte che confina con il detto di Cirino fare due balconi, uno di sotto e l’altro di sopra. Con che nell’antecamera che confina con il quarto del porticato, ove per lo bisogno detto di Amato dovea fare due balconi di sotto e l’altri due di sopra, solamente ne debba fare uno sotto e l’altro sopra, stante che l’altri due li debba situare nel quarto del detto fu Visconte. Di modo che debba detto di Amato in tutto fare tre balconi nel primo piano e cinque nel secondo, oltre delli due balconi che sono fatti nel camerone nel primo piano, tre pilastroni, tre porti di sotto, una rosciada. Ed in fine del cornicione e tutt’altro bisognevole uguale al quarto terminato, ove il porticato. Per lo prezzo in tutto di attratto e maestria, calce, gisso, porte ed ogn’altro di onze 107. Con obligo di doverle pagare per conti. E detto di Amato debba far travagliere li maestri di giorno in giorno senza mancare un giorno fino che sarà terminata l’opera sudetta, senza essere più obbligato detto spettabile di Proto a fare le paghe sudetto come sopra, ma sudette onze 107 sono per l’intiero e totale pagamento, con che detto di Amato si debba valere delle palmi trecento di pietra pagata da detto spettabile di Proto senza paga alcuna. E perciò divengono all’infrascritto contratto del modo e forma come siegue.

 

PATTI E CONDIZIONI DEL NUOVO CONTRATTO, ndr

Perciò oggi presente preterito giorno Mastro Giacomo Amato della Città di Messina, al presente in questa sudetta Città di Milazzo, ritrovato da me notaro conosciuto, in virtù del presente ed ogn’altro miglior nome e modo unde spontaneamente confessa aver avuto e ricevuto dal sudetto spettabile barone Don Francesco Maria Proto di questa sudetta Città, presente anche da me notaro conosciuto, onze ottantadue, cioè onze venti in danari contanti conforme costa, onze dieci per una lettera di cambio fatta da detto barone Proto, diretta al Reverendo Padre Fra Flaminio Proto, suo fratello, in Messina, pagabili al detto di Amato, ed onze 52 in prezzo di tonnine diversi sorti ricevuti dal detto di Amato conforme  di [seguono due vocaboli di ardua trascrizione, ndr] unde.

A complimento di onze 107, onze 25 restano in potere del sudetto spettabile di Proto ad effetto quelle soccorrere e pagarle ai maestri operaj che travagliano per l’opera suddetta in detto Palazzo a [segue abbreviazione di ardua trascrizione] e per discarico di detto di Amato, tanto per maestrie bisognevoli che per attratto necessario. E con la condizione che non essendo bastevoli sudette onze 25 per dette maestrie ed attratto per compire e finire tutta sudetta opera secondo l’infrascritta obligazione, resta responsabile e sia tenuto nominare proprio detto di Amato all’intiero pagamento e supplimento di tutto quello bisognerà per adempimento della presente obligazione. Stante il quale pagamento come sopra fatto e per le sudette onze 107, per la presente nuova convenzione ed accordio non recedendo da detto presente contratto circa alle condizioni in esso espressate, detto mastro Giacomo Amato, presente come sopra, in virtù del presente, a sue proprie spese, di pietra di Siragusa, maestrie, calce, gisso, porte di legname, attratto, e tutt’altro bisognevole promise e promette, e s’obligò ed obliga, a detto spettabile Don Francesco Maria Proto, presente come sopra, terminare di tutto punto il sudetto Palazzo, con dovere mettere tre balconi nel primo piano, con suoi cagnoli, cornici e balate, ed altre cinque balconi, seu finestroni, nel secondo piano, cioè uno sopra e l’altro sotto nel quarto del fu Don Visconte Proto, altre due nel quarto collaterale alla sala (?), uno sotto e l’altro sopra, altri due nel secondo piano sopra li due balconi fatti al presente nella camera di dormire di detto spettabile di Proto e l’altri due balconi, seu finestroni, nel quarto che confina colla casa di detto Don Giovanni Cirino, uno di sotto e l’altro di sopra, ove deve detto di Amato terminare la fabrica mancante sino al cornicione, come anche fare tre pelastroni di alto basso tutte intiere di pietra di Siragusa. Uno de’ quali situarlo nel fine del Palazzo che confina con detto di Cirino. Parimenti fare tre porticati di pietra di Siragusa a situarli ove sono quelli antichi. E nel quarto del fu Don Visconte fare e mettere una rosciada, seu grada, uguale a quella che al presente fu nuovamente fatta. Di modo che s’obliga detto di Amato terminare tutto l’intiero Palazzo della facciata d’innanti uguale alla facciata del quarto fatto, ove il porticato nuovamente fatto, e per ultimo terminare e fare tutto intiero il cornicione di sopra uguale a quello che si ritrova fatto. Con fare tutta quella fabrica necessaria giusta quella si fece per la situazione di detto cornicione fatto. E annarbare tutta la restante facciata di pasta come quella  ch’esiste, dovendo detto di Amato smurare tutte le finestre rosciade e porte a sue spese come sopra.

E situare quello nuovamente con doversi valere detto di Amato delli palmi 300 di pietra di Siragusa pagati da detto spettabile di Proto per sudetta opera senza pagare cosa alcuna. Itachè restando pietra di Siragusa tanto delli palmi 300, che di quelle portate da detto di Amato per suo conto, detta pietra di sopra avanzo restar deve per conto del sudetto spettabile di Proto. E caso mai sudetta pietra non fosse sufficiente detto di Amato sia obligato, conforme si obliga, comprare a sue spese tutta quella pietra che sarà mancante per compire sudetta opera, non dovendo detto di Amato entrare alla cantonera che dona nella vanella di S. Agostino del quarto del fu Don Visconte.

E bisognando acconci e altro debba farli detto spettabile di Proto, dovendo essere tutta sudetta opera bene e magistrevomente fatta ogni cosa a spese del detto di Amato e niente meno. Ed uguale al quarto fatto del porticato.

Quale opera si obliga detto di Amato farla terminare incominciando d’oggi innanti e successivamente di giorno in giorno travagliare senza far mancanza di un giorno di lavoro, sino che sarà terminata tutta sudetta opera. Altrimenti sia tenuto ed obligato detto di Amato a tutti li danni, spese ed interessi. In caso di mancanza di prendersi detto spettabile di Proto tutti quelli maestri bisognevoli ed attratto necessario per compire sudetta opera a’ danni ed interessi del detto di Amato in unde alias unde

Con patto che detto spettabile di Proto sudette onze 25 che restarono in suo potere li debba soccorrere alli mastri per detto travaglio giusta la nota lasciata e firmata dal detto di Amato de patto unde

E perché nell’anticamera giusto il primo disegno dovea detto di Amato situare, uno sotto e l’altro sopra, e l’altri due situarli nel quarto del fu Don Visconte del modo come sopra si è espressato.

E stante il presente nuovo convenio detto spettabile di Proto non resta più responsabile al pagamento del primo contratto per avere pagato tutta l’intiera opera di suddette onze 107, oltre il pagamento fatto delle sudette onze 40, per aversi tra esse parti accordato. Epperò sudetto primo contratto sia e s’intenda casso e nullo ademputa dal detto di Amato l’opera sudetta, dichiarando reciprocamente detti spettabili di Proto ed Amato dal passato e presente appieno soddisfatti non solo del sopra più di servigio fatto nell’opera fatta, m’anche per prezzo di legname orethenus venduto dal detto di Amato al sudetto spettabile di Proto. E le suddette onze 107 sono per il totale saldo di tutta sudetta opera ed obbligazione che far deve detto di Amato e non altrimenti unde.

Testes: Rev.s Sac.s Don Antoninus de Andò et Don Antoninus Majolino

Dagli atti del quondam notaro Don Giuseppe Maiolino di Milazzo [Archivio Storico e Biblioteca “Bartolo Cannistrà” del Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo” di Milazzo, fondo marchesi Proto].

 

 

§ IX

La concessione in enfiteusi del 1764

Il marchese Francesco Maria Proto acquisisce nel 1764 la porzione del palazzo, sita nel «Piano del Carmine che confina con vinella di S. Agostino», in pessime condizioni statiche e spettante al figlio minore del defunto Don Visconte Proto. Nel memoriale, redatto a cavallo tra Sette ed Ottocento, vengono indicati taluni adempimenti burocratici dettati dalla normativa in materia di alienazione sui beni di proprietà dei minori.

Questa porzione di palazzo aveva un portale tutto suo, sull’odierna via Porto Salvo, la “vinella di S. Agostino”. Ne fa fede una perizia del 1793, dove si legge quanto segue: «per un porticato di pietra di Siragusa nella vanella di S. Agostino si valuta onze 6». Il “porticato” della porzione di palazzo un tempo appartenente a Don Visconte Proto era ancora presente nel 1928. Ne fa fede una fotografia scattata proprio in quell’anno.

 

…questa pruova testimoniale, dopo la prima provista, viene inserita nel contratto di alienazione nel modo seguente:

«(…) Magister Franciscus Sarai, ann. 65, receptus cum juramento (…) dice esso testimonio che il fu Don Visconte Proto, figlio di Don Paolo, fra gli altri beni suoi, dopo la sua morte, lasciò un quarto di casa seu Palazzo grande con diverse officine, posto in questa città di Milazzo e quartiero del Carmine, quale è ridotto quasi che minaccia rovina. E per ristorarlo vi abbisognano gran somme di denaro per renderlo abitabile. E che anche per la sua manifesta decadenza si rende difficile pure a gabellarsi. Onde dice esso testimonio che sarebbe di grande utiltà e beneficio a favore del figlio minore di detto fu Don Visconte [il giovane Don Giovanni Proto e Cirino, ndr] concedersi a censo redimibile e così detto minore godere dell’annuale rendita e non perdere dall’intutto detta casa etc. etc.»

Alla deposizione di questo testimonio ne sieguono delle altre concepite negli stessi sensi. Mostrato nel modo anzidetto il vantaggio dell’alienazione s’ottenne la seconda provista per l’alienazione [in data 15 ottobre 1764, ndr] (…). Dopo queste sollennità, che nell’ordine che le abbiamo esposte vengono riportate nel contratto di alienazione, si concesse ad enfiteusi la parte del Palazzo al marchese Don Francesco [Maria] Proto, che si obbligò al canone di onze 4 annuale.

Divenuto proprietario il marchese Proto, onde impedir la ruina del Palazzo, e per fare una decente e commoda abitazione, ricostruì per intiero tanto la parte da lui conseguita nella divisione, quanto quella acquistata in enfiteusi, erogando ingenti somme per le quali il Palazzo ebbe nuova e più decorosa forma (…) [Archivio Storico e Biblioteca “Bartolo Cannistrà” del Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo” di Milazzo, fondo marchesi Proto].

 

 

§ X

Interventi eseguiti nel 1808/09

- Pietra Siragusa impiegata a… del portone… ed altro, in tutto palmi 2090 cub[ic]i, quali ragionati a tarì 3 palmo importano…

- Pietra per 4 colonne palmi 213 cub.i che a tarì 3.6 palmo senza lavoro secondo la relazione importano, onze…

- La pietra per le 4 base e capitelli di dette colonne si paga come la relazione, onze…

- Per il lavoro di dette colonne con basi e capitelli secondo la relazione, onze 24;

- Telajo di marmo di Taormina del portone palmi 91 b. cub.i che a tarì 20 palmo [importano], onze 30.17.20;

- Al detto telajo si fece membretto di marmo bardiglio di Genova (?) in palmi 14 cub.i quale (?) si paga per solo marmo a tarì 18 palmo, onze 8.12;

- Per secatura e lavoro di detti in palmi 36 quale (?) si paga a tarì 4 palmo, onze 4.24;

- Per soprapiù di lavoro della menzola del portone, onza 1;

- Si lavorò il soglio di detto portone di marmo del p.ne, onze 1.18;

- Si fece la base e capitello con pezzi sani di marmo bardiglio della colonna di marmo, all’imboccatura della scala in palmi 20 cub.ci quali si pagano per solo marmo a tarì 18 palmi cub.i, onze 12;

- Per secatura di detti pezzi secondo le misure di detta base e capitello e per lavoro delle medesimi, si paga onze 7;

- Per essersi tagliata la colonna sudetta e riquadrata, onze 0.24;

- Per soprapiù di lavoro delle due mezze colonne con basi nel fronte di detta scala, onze 2;

- Per due capitelli a dette colonne di pietra e maestria, onze 1,10;

- Per sopra più di lavoro di quattro archi di pietra Siragusa in detta scala lavorati a capettoni (?), onze 3;

- Per il lavoro di due modiglioni e festoni nel finestrone sopra il portone, onze 2;

- Per il lavoro di n. 13 mutoli nella cornice del portone con diglisi (?) all’architrave, si paga, onze 2;

- (…) Per n. 54 cagnoletti di pietra Siracusa del brinzato (?), si pagano per pietra e maestria a tarì 4 per uno, onze 7.6 [Archivio Storico e Biblioteca “Bartolo Cannistrà” del Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo” di Milazzo, fondo marchesi Proto].



§ XI

La quietanza dell'architetto Antonio Tardì (1812)

 



 Archivio Storico e Biblioteca “Bartolo Cannistrà” del Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo” di Milazzo, fondo marchesi Proto.



§ XII

I lavori nel Palazzotto Lucifero (1812)

 

Il cospicuo patrimonio ereditario dei Baeli venne ripartito tra i baroni Lucifero ed i marchesi Proto. Non fece eccezione il grande palazzo del Piano del Carmine, che ancora alle soglie dell’Ottocento annoverava tra i suoi comproprietari anche qualche Lucifero, perlopiù nelle due ali del palazzo prospicienti, rispettivamente, sulle odierne via Umberto I e vico Porto Salvo.

In particolare, nel vicolo, i Lucifero risultavano proprietari nella seconda metà del Settecento di un palazzotto autonomo, con proprio “porticato”, un palazzotto gravemente danneggiato dai terremoti del 1783 e confinante con la “casa palazzata” del marchese Proto e - presumibilmente nell’atrio - con proprietà degli eredi di Giovanni Cirino.

Negli anni Dieci dell’Ottocento questa autonoma porzione sul vicolo dell’originario grande Palazzo Baeli risultava ancora abitata da Don Emanuele Lucifero, che nel 1810 ne fece dono al marchesino Francesco Maria Proto, riservandosi tuttavia l’usufrutto del primo piano sino alla sua morte ed a quella della propria consorte.

Dopo i terremoti del 1783, il palazzotto venne di fatto abbandonato per quasi 19 anni, fin quando, nel 1812, intervennero risolutivi interventi di restauro che prevedevano, tra l’altro, la trasformazione di due finestre in altrettanti «balconi di quattro cagnuoli di pietra di Siragusa».

 

Nel giorno tre marzo decimaquinta Ind. 1812

Personalmente costituiti innanti a noi notaio e testimonj infrascritti mastro Giuseppe Coppolino, falegname, e mastro Gioachino Nastasi, murifabro, di questa Sempre Fidelissima e Leale Città di Milazzo, da me notaro conosciuti, in vigor del presente (…) promisero e promettono e si hanno obbligato ed obbligano a Don Emmanuele Lucifero di questa suddetta Città, da me notaro anche conosciuto, presente, stipulante, riattare il quarto inferiore di quella casa grande posta in questa sudetta città e nel quartiero di S. Agostino, ove al presente abita detto Signor di Lucifero. Con fare detti mastri di Coppolino e Nastasi tutto quello e quanto di sotto viene descritto, e ciò a sue proprie spese bene e magistrevolmente, secondo richiede l’arte, con dovere dare di mano da oggi innanti e consegnarlo per tutti li 31 maggio prossimo venturo 1812 e questo del modo che siegue, cioè.

Primieramente dobbono detti mastri di Coppolino e Nastasi costruire numero tre camere finite di tutto punto, come ricerca l’arte, e secondo il presente costume. Cioè, una nel camerone, altra nell’antecamera e la terza nella camera ove tiene il letto detto Signor di Lucifero, che corrisponde nell’atrio. Intonacare le corrispondenti camere e pastiarle con calcina perfetta bianca, coll’obbligazione ancora di ridurre le due finestre di mezzo della facciata, cioè una nell’antecamera e l’altra nel camerone, a due balconi di quattro cagnuoli di pietra di Siragusa, travagliati di liscio con sua corrispondente cornice, e che siano larghi di lame palmi cinque e lunghi palmi undeci e di getto larghi palmi due e tre quarti e lunghi palmi undeci e mezzo, con suo balcone di ferro quatronello e corrispondenti sue vetrate di vetri piccioli e portiere corrispondenti, con suoi ferramenti, pittate e finite di tutto punto.

Dippiù devono cambiare in finestra il balcone di pietra intagliata, e di quello che resterà del balcone sudetto correre per detti mastri per loro conto. Come ancora devono serrare la bocca dell’alcova di calce ed arena, lasciando l’apertura di una portiera che devono costruire lesta di tutto punto, pittata e con suoi corrispondenti ferramenti.

Come pure devono  fare un timpagnuolo nella suddetta camera con un picciolo solaretto, che situar si deve sopra il tamburo della scala, con picciola scala per salire e sua porta corrispondente, che si adatterà a quella situata nel camerone.

Ed ancora devono fare due portiere, dovendo essere pittate, fornite e lavorate all’uso presente, inclusa quella nell’arcova.

E per finire deve situare una finestra d’intagli con le medesime aperture e vetrate nell’arcova e costruirla a balconetto a petto con un cagnuolo e sue piccole balate, che corrisponde nel comune scoverto (…) [Archivio Storico e Biblioteca “Bartolo Cannistrà” del Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo” di Milazzo, fondo marchesi Proto].



Il Palazzotto Lucifero nel vico Porto Salvo.



§ XIII

La ricostruzione nel secondo dopoguerra: la relazione dell'ing. Cesare Fulci (1952)


 





1951, il corteo funebre dell'eroico Luigi Rizzo giunge in piazza Caio Dulio. La salma era appena sbarcata nel Molo Marullo dal “Luigi Rizzo”, che allora faceva la spola tra Milazzo e le Eolie. Leonardo Fuduli, titolare dell'omonimo negozio di tessuti, si affaccia dal balcone di casa, sul negozio, ed immortala il corteo in una Milazzo che presenta ancora le ferite dei bombardamenti aerei angloamericani: il Palazzo dei marchesi Proto appare difatti quasi interamente sventrato dalle bombe. Sarebbe stato ricostruito di lì a poco, restituendo decoro alla più importante piazza cittadina (gentile concessione Sig. Momi Fuduli).



La foto è stata scattata in piazza Caio Duilio intorno al 1954. L'incubo del secondo conflitto mondiale si allontana sempre più. Accanto al Palazzo dei Marchesi Proto, ormai ricostruito dopo le devastazioni arrecate dai bombardamenti aerei, si pensa a ricostruire anche l'antico ed attiguo Palazzo Zirilli, acquisito nel frattempo dalla famiglia Sfameni. La signora di spalle cammina sul marciapiede con la borsa in mano, lungo quel che resta del palazzo, che di lì a poco farà posto al moderno edificio del Banco di Sicilia (gentile concessione dott. Francesco La Spada).





Un documento attestante la presenza di un «porticato di pietra di Siragusa nella vanella di S. Agostino», ossia nell'odierno vico Porto Salvo, porticato oggi non più esistente e sostituito dalla vetrata del negozio sito ad angolo con piazza Caio Duilio. Nel vicolo si aprivano due "porticati", quello di Palazzo Proto e quello ancora esistente dell'attiguo Palazzotto Lucifero, palazzotto inglobato nel tempo dallo stesso Palazzo Proto. Nella foto in basso del 1928 si notano nel vicolo entrambi i portali.





  TORNA ALLA HOME   Dal Palazzo Baeli al Palazzo dei Marchesi Proto: le fonti a cura di Massimo Tricamo   § I Il matrimonio del 16...