Dal Palazzo Baeli al Palazzo dei Marchesi Proto: le
fonti
a cura di
Massimo Tricamo
§ I
Il matrimonio del 1655
Il “palazzo grande” dei Baeli, oggi noto come
Palazzo Proto, dominava la piazza del Carmine già nel 1655. Proprio in
quell’anno un quarto della proprietà dello storico edificio veniva dato in
dote, per accordo matrimoniale, a Giuseppa Baeli, una delle figlie del barone
di S. Nicolò Don Onofrio Baeli, la quale andò in sposa all’età di 16 anni al
figlio di Don Mario Cirino, barone di S. Basilio.
In particolare agli sposini sarebbero spettati
botteghe e mezzanini dell’ala prospiciente piazza del Carmine, precisamente la
porzione sita tra la cantina dell’olio e la farmacia con doppia entrata, che
oggi come allora, a distanza di ben tre secoli, caratterizza a pian terreno il
versante sinistro della facciata dell’edificio, pervenuto in eredità nella
prima metà del Settecento ai Proto.
Nella foto risalente agli anni Cinquanta il
farmacista si rilassa sull’uscio.
A di diecinovi
gennaro octava indittione mille seicento cinquanta cinque 1655
Capitoli del
felice, prospero e benedetto matrimonio in nome del Signore felicemente da
contraherse per verba de presenti et mutuo consenso, da qui innanti
d’intervenire secondo l’uso, constume e consuetudine de’ Romani, e sicome si
dice alla grega grecaria [in conformità
alle norme del diritto romano, ndr], in perpetuum et infinitum, fra la
signora Donna Giuseppa Baieli, figlia legitima e naturale del condam [quondam, defunto, ndr] signor Don
Onofrio Baieli, barone di Santo Nicolao et regio secreto di questa Fidelissima
Città di Milazzo, et della signora Donna Clara Fiore Baieli, vivente, olim
iugali, giovana vergine in capillo d’età d’anni sedici in circa, sposa, d’una
parte, et il signor Don Giovanni Cirino, figlio legitimo e naturale del signor
Don Mario Cirino, barone di S. Basilio, e della signora Donna Isabella Cirino
et Stagno, iugali, sposo, dell’altra parte (…).
Et ancora essi
signori dotanti, in conto delli soprascritti onze 8000, hanno dotato e dotano
allo sopradetto signor sposo un quarto d’un loro palazzo isolato sito e posito
in questa predetta città di Melazzo, in frontespitio della chiesa del convento
di Nostra Signora del Carmine, consistente nell’infrascritte poteghe e stanze
di sopra, cioè quelle quattro poteghe, una con le loro stanze di sopra, come si
ritrovano della parte verso levante, incominciando da quella potegha nella
quale al presente habita loherio nomine mastro Placido di Loijsi, che confina
con il magaseno delli cantini dell’oglio, ad andare verso menzogiorno insino
alla cantonera dove vi è la pottegha dell’aromatario [farmacista, ndr] a due porte, ed altre tre potteghe, con sue stanze
di sopra, come si ritrovano, con di più la cocina e sue stanze di sopra, al
presente gabellato a Don Antonio Proto, contigua alle dette stanze [Archivio
Storico e Biblioteca “Bartolo Cannistrà” del Museo Etnoantropologico e
Naturalistico “Domenico Ryolo” di Milazzo, fondo marchesi Proto, Eredità Baeli,
vol. V, ff. 387 e segg.]
§ II
Il testamento di Don Giovanni Onofrio Baeli (1689)
I Baeli. A ricordarli ancor oggi è il toponimo dello
slargo più centrale di Milazzo. E a due passi da Piano Baele, ai piedi
dell’artistico portale d’ingresso della chiesa del Carmine, fanno ancora bella
mostra le “armi di famiglia”, ossia il loro stemma raffigurante un leone
rampante sulle onde del mare. Ai Baeli, alla loro straordinaria potenza
economica e politica, vengono di seguito dedicate alcune brevi note ricavate
dalle antiche carte d’archivio oggi custodite presso il Museo Etnoantropologico
e Naturalistico “Domenico Ryolo”.
Non ebbe lunga vita Don Giovanni Onofrio Baeli,
barone di S. Nicolò e titolare della Regia Segrezia di Milazzo, ossia l’ufficio
periferico dell’amministrazione finanziaria. Quando morì nel 1689 aveva appena
45 anni. Esalò il suo ultimo respiro in quello che i milazzesi chiamavano il
“Palazzo grande dei Baeli”, l’odierno Palazzo Proto di piazza Caio Duilio,
storico fabbricato che le carte d’archivio di fine Seicento associavano già
allora al toponimo “Piano del Carmine”. Prima di morire chiese di essere
seppellito a S. Papino, nella cappella del SS. Crocifisso fondata dai suoi
antenati e prescelta già nel 1642 come estrema dimora da suo nonno Francesco
Baeli.
Don Giovanni Onofrio lasciava ai suoi figli, ancora
bambini, un cospicuo patrimonio. A partire dall’immensa Baronia di S. Nicolò al
Promontorio, pervenutagli in eredità da suo padre Onofrio, che nel 1638
otteneva dal Comune la concessione dei terreni e delle coste compresi tra la
Baia di S. Antonio e Punta Mazza, e soprattutto da suo nonno Francesco, al
quale i rampolli dell’aristocratica famiglia Baeli dovevano quasi tutta la
propria prosperità economica e politica. Lui stesso, Giovanni Onofrio, nel 1682
aveva ingrandito ulteriormente i propri possedimenti della punta estrema del
Capo acquisendo da un Bucolo anche la proprietà degli appezzamenti «delle
Scale», siti a Sud del Cirucco. Suo padre Onofrio nel 1640 aveva acquisito pure
la lanterna, vendutagli dall’ultimo discendente di Masulla Pellizza, sposatasi
nel 1565 e figlia del soggetto che fece edificare l’antico Faro di Capo
Milazzo.
Sfogliando il testamento redatto nel 1689 dal
giovane barone Giovanni Onofrio in fin di vita, si legge che lasciava ai figli
anche il grande Palazzo di Piano del Carmine, in verità solo la metà, ossia la
porzione centrale prospicente la chiesa ed il convento del Carmine ed il vicolo
S. Agostino. La restante metà era stata in precedenza assegnata in quanto ad un
quarto alla sorella Giuseppa Baeli, coniugata con l’aristocratico Giovanni
Cirino, cui spettò la porzione del palazzo rivolta verso Sud (odierna via
Chinigò), ed in quanto al rimanente quarto all’altra sorella Margherita,
coniugata con Don Onofrio Ortiz, cui spettò la porzione rivolta verso Ponente
(odierna via Umberto I).
Tra i lasciti che figurano nel testamento anche
un’abbondante argenteria ed una ricca quadreria, ivi inclusi i tre “ritratti in
piede” raffiguranti, rispettivamente, Don Giovanni Onofrio, suo padre Onofrio,
deceduto giovanissimo nell’aprile 1643, e suo nonno Francesco, deceduto appena
un anno prima, nel 1642. Dei tre ritratti, custoditi nel 1689 nel grande
Palazzo del Piano del Carmine, soltanto uno giunse sino ai giorni nostri,
quello del padre Onofrio, una grande tela rettangolare di m. 1,55 x 2,07.
Pervenne per via ereditaria al barone Giuseppe Lucifero di S. Nicolò, il quale
nella primavera del 1928 lo inviò a Roma al restauratore Casimiro Tomba a mezzo
trasporto ferroviario. «Il dipinto del mio antenato del 1640 circa - scriveva
il barone - è in cattive condizioni e deve essere riportato su altra tela e
ritoccato in molte parti (…). Io desidero che, compatibilmente con la estetica
del quadro, sia ridotto in altezza e larghezza, ma principalmente in altezza,
pur restando la figura intiera da capo a piedi. Sull’angolo a destra in basso
vi è il nome ed il titolo del Baeli che io desidero rispettato. Quando Ella
avrà riportato la tela su altro telaio, che io desidero sia munito di caviglie
per stendere bene la tela, La prego darmi le nuove misure, perché io possa
provvedere allo acquisto della cornice». Il ritratto raffigurante Onofrio Baeli
venne purtroppo trafugato nel 1989 nella Villa Lucifero del Promontorio, sede
della omonima fondazione, dal cui archivio provengono le due foto qui pubblicate
- di qualità non ottimale - scattate nel
1977 in occasione di una perizia disposta dalla stessa Fondazione Lucifero.
Tra i lasciti di Don Giovanni Onofrio il testamento
del 1689 menziona persino denaro occultato da suo nonno Francesco nel grande
Palazzo del Piano del Carmine. L’insolita disposizione testamentaria suscita
non poco stupore: «io sudetto testatore declaro che ho notitia che il quondam
(fu, ndr) Don Francesco Baeli, mio avo, habbia conservato nascostamente dentro
il Palazzo, dove al presente habito, molta somma di denari, o in oro o in
argento che fosse, e insin hoggi non ho potuto sapere in qual luogo fosse
conservata. Pertanto voglio che li detti miei figli e heredi universali
habbiano di far diligenza trovare detto denaro, quale trovato se l’habiano da
dividere equalmente tra di loro e non altrimente».
Erede universale di Don Giovanni Onofrio fu l’unico
suo figlio maschio, Don Francesco Emiliano, cui spettò il titolo di barone e
l’intera Baronia di S. Nicolò, ma anche lui morì giovanissimo nel 1707. Furono
ben tre, una dopo l’altra, le generazioni di baroni Baeli ad essere strappate
troppo in fretta all’affetto dei propri cari. Lo stesso Giovanni Onofrio era
subentrato nell’eredità al fratello maggiore Francesco, anch’egli deceduto in
giovane età. Di lì a poco il cospicuo patrimonio immobiliare dei Baeli, tonnare
e vigneti compresi, sarebbe pervenuto per via ereditaria alle famiglie dei
baroni Lucifero e dei marchesi Proto.
A conclusione di quanto sin qui esposto, qualche
breve nota sugli schiavi “milazzesi” del barone Don Giovanni Onofrio. Tra i
beni lasciati in eredità nel 1689 dal quarantacinquenne Regio Segreto e barone
di S. Nicolò figuravano anche quattro schiavi. Una perizia stabiliva il valore
di ciascuno di essi: 15 onze era il prezzo dello «schiavo bianco cristiano di
nome Giuseppe». Stessa cifra per la schiava bianca Maria e per lo «schiavo
turcho di nome Demis». Otto onze era invece il valore attribuito alla «schiava
cristiana olivastra nominata Pasca». I
loro nominativi e rispettivi prezzi figurano in un inventario di beni
ereditari, assieme ad ancore di tonnara, olio lampante, botti, muli, selle e
tanto altro. Due di essi, Giuseppe e Maria, furono destinati nel grande Palazzo
del Piano del Carmine al servizio dei giovanissimi figli del barone, per il
mantenimento dei quali si aggiungevano una balia per i più piccoli, una
carrozza con due mule e cocchiere e, tra l'altro, le spese per il loro
vestiario che ovviamente doveva essere adeguato al rango di giovanissimi
rampolli di una delle famiglie più aristocratiche e facoltose del Messinese,
come ebbe peraltro a ricordare in quello stesso anno 1689 Diego Le Donne, amico
intimo del barone Giovanni Onofrio e
fratello di Antonio, antenato diretto del prof. Domenico Le Donne. Fu proprio
Diego Le Donne ad essere prescelto dal barone Baeli, nel novembre 1687, quale
padrino di battesimo dello “schiavo adulto” cui fu imposto il nome di Giuseppe.
Quella di avere schiavi al proprio servizio non era
certo una novità nella potente famiglia Baeli. Ormai in fin di vita, il 24
dicembre 1642, il barone Francesco Baeli, nonno di Don Giovanni Onofrio,
dispose per testamento, tanto per la sua anima che per remissione dei propri
peccati, di lasciare “franchi e liberi” sia la sua schiava Anna che il suo
schiavo Bernardo Baeli. Vincolando tuttavia i suoi eredi, nel caso in cui
Bernardo avesse deciso di farsi frate nel convento di S. Papino, a «darci
l'habito sue vestiario per l'ingresso di detta religione».
Eodem [21 maggio 1689, ndr]
Didacus Le Donni
huius Fid.mae Civitatis Mylarum pres. cogn. (…)
Sa esso
testimonio qualmente alcuni giorni sono havendosi morto e passato da questa a
miglior vita il quondam Don Onofrio Baeli olim Barone di Santo Nicolò e Regio
Secreto di questa Città di Melazzo con haversi fatto il suo sottoscritto
testamento per l’atti di notar Andrea Muscianisi sotto li 22 marzo 1689 aperto
e pubblicato per l’atti suddetti sotto li 14 aprile sequente 1689, per lo quale
testamento il detto quondam Don Onofrio Baeli lasciò heredi universali in tutti
e singoli suoi beni mobili e stabili (…) et altri a Donna Chiara, Don Emiliano,
Donna Margarita, Giuseppa e Don Fortunato Baeli, suoi figli legittimi e
naturali, nati e procreati da esso testatore con Donna Caterina Baeli e
Sanginisi. E lasciò balia tutrice, et pro tempore curatrice di detti suoi
figli, alla detta Donna Caterina Baeli, sua legittima moglie e madre di detti
suoi figli. La quale Donna Caterina Baeli, madre, dovendo alimentare detti suoi
figli giusta la condizione di detti suoi figli e facultà di detto quondam loro
padre e farsi ta[s]sare detti alimenti per il giudice ordinario di
questa Città,
se li devono
tasare meno per vitto di detti quattro suoi figli minori per ogn’anno di onze
30;
per una balia
per servizio di dui figli minori onze 6.12 di salario per ogn’anno e per
ragione di suo vitto ogn’anno onze 12;
per vitto di dui
schiavi hereditarij, uno mascuolo nominato Giuseppe e l’altro femina nominata
Maria, per servizio di detti suoi figli, per ragione di loro vitto non si
devono tasare meno di onze 18 l’anno; e per vestimenti di essi ogn’anno onze 8;
per un paggio
per servizio di detti figli per ragione di suo salario per ogn’anno onze 12;
per vestimenti
li detti quattro minori per ogn’anno onze 18;
per una persona
per assistere e darci cura e soprastare alli beni stabili hereditarij per suo
salario onze 12 per ogn’anno;
e per
manutenimento d’una carrozza con due mule e salario del cucchiero per ogn’anno
onze 40;
e più per resto
più che meno che in tutto fanno la somma di onze 156.12.
E questo esso
testimonio lo sa, dice e depone come prattico e conoscente con tutte le
sopradette prenominate persone e sa le cose del modo detto di sopra (…) [Archivio
Storico e Biblioteca “Bartolo Cannistrà” del Museo Etnoantropologico e Naturalistico
“Domenico Ryolo” di Milazzo, fondo marchesi Proto, Eredità Baeli].
Il ritratto raffigurante Onofrio Baeli venne purtroppo trafugato nel 1989 nella Villa Lucifero del Promontorio, sede della omonima fondazione, dal cui archivio provengono le due foto qui pubblicate - di qualità non ottimale - scattate nel 1977 in occasione di una perizia disposta dalla stessa Fondazione Lucifero.
§ III
I danni dell’Assedio di Milazzo del 1718/19
Dalla cronaca del coevo Domenico Barca. Si
precipita una delle facciate di Palazzo Baeli, colpito varie volte da bombe e cannonate.
Soldati morti e feriti a causa dei bombardamenti a tale palazzo in cui erano
acquartierati. Una bomba colpisce la casamatta costruita all’interno dello
stesso palazzo dal generale austriaco Ros per meglio tutelarsi dalle
artiglierie nemiche
22 febbraio
1719 - Da più tempo che il palazzo grande nominato di Baeli nel piano del Carmine
è stato rovinato per la quantità di bombe e cannoni disparati dalli fortini
delli Spagnuoli, cossì d’innanzi di Levante come da parte da dietro di Ponente,
con avere restato molti soldati uccisi ed altri feriti per essere stato
quartiero di essi. E tutta la facciata che è nella parte di Scilocco e Libeccio
del detto palazzo è precipitata al suolo. E benché nel medemo pure abitasse il
signor generale Ros, tudesco eretico, con aversi fatto una casamatta dalla
parte di tramontana per non patir alcun accidente, pure una bomba venne sopra
detta casamatta e molti pezzi di essa penetrarono sino al suolo nella camera
ove stanzava il signor generale sudetto. E per sua fortuna si retrovò fora di
essa, altrimenti avrebbe patito alcun sinistro incontro. Forse per essere molto
elemosiniero (benché eretico) Dio volse preservarlo per redursi alla nostra
catolica fede.
6 marzo 1719 - Nel medemo giorno una
bomba, fra l’altre, crepò nel palazzo grande di Baeli, nel piano del Carmine. E
s’osservò che si fracassarono molte camere, con l’abbrugiamento di molto mobile
di qualche considerazione [Domenico Barca, Raguagli
dell’Assedio dalli Spagnuoli fatto nell’anno 1718 e 1719 nella Fidelissima e
Leale Città di Milazzo con alcune considerationi al detto assedio, ms.
pubblicato di recente da Giovanni Lo Presti e Massimo Tricamo in Sotto Assedio, Lombardo edizioni,
Milazzo 2019]
§ IV
Rifacimento facciata, primo contratto d’appalto (1763)
Die vigesimo m.s
martj 1763
Innanti noi
notaro e testimoni infrascritti, personalmente costituito mastro Giacomo Amato
della Città di Messina, al presente in questa fedelissima Città di Milazzo, da
me notaro conosciuto, in virtù del presente ed ogni altro miglior nome e modo
[segue termine di ardua trascrizione, ndr] a proprie spese di detto di Amato
promise e promette e si obbligò ed obbliga allo spettabile Don Francesco Maria
Proto, Barone dell’Albero, di questa suddetta Città, presente anche da me
sudetto notaro conosciuto, fare tredici fenestroni di pietra di Siragusa nel
Palazzo di esso spettabile di Proto in questa Città e nella facciata che dona a
frontespizio del Venerabile Convento di Santa Maria del Carmine e della fontana
nuovamente fatta, confinante da parte di mezzogiorno con casa di Don Giovanni
Cirino e da parte di tramontana con le stanze e quarto del fu Don Visconte
Proto.
Cioè sette
fenestroni nel secondo piano, dovendo essere sudetti finestroni con li loro
cagnuoli e cagnoletti con suoi balate, di altezza, larghezza, manufattura,
lavoro, con le cornici e tutto altro conforme [segue termine di ardua
trascrizione, ndr] ed uguali al disegno, e niente meno. Quale disegno esiste in
potere di me sudetto notaro, sottoscritto da detto spettabile di Proto detto di
Amato e di me infrascritto notar Giuseppe Majolino.
Dovendo essere
li balconi con li cagnuoli di gettito fuori con tutta la balata di palmi tre ed
un terzo e li balconetti il cagnuolo di mezzo un palmo e l’altri due un quarto
di palmo, con sue balate a petto di oca (?).
Come anche si
obbliga detto di Amato a sue spese come sopra fare quattro pilastri di pietra
di Siragusa di mezzi pezzi fuori della zoccolatura e terminarli sino sotto la prima
fascia del primo ordine, con dovere anche fare la sudetta fascia di lunghezza
di detti quattro pilastri di pietra di Siragusa. Dovendo essere tutta sudetta
opera di finistroni, pelastri e facciata bene e magistrevolmente lavorati e
travagliati secondo richiede la sua arte, uguali e giusta la forma di detto
disegno.
Dippiù detto di
Amato, presente come sopra, si obbligò ed obbliga a detto spettabile di Proto
fare a proprie spese di detto di Amato il porticato novamente di pietra di
Siragusa, intagliato e lavorato uguale e giusta la forma del disegno che
manderà detto di Amato a detto spettabile di Proto, con dovere fare l’armi e
quelli mettere sopra detto porticato. Dovendo essere detto porticato bene e
magistrevolmente fatto secondo richiede la sua arte e giusta detto disegno che
manderà detto di Amato di altezza e larghezza a giusta proporzione,
obbligandosi, conforme si obbliga detto di Amato a sue proprie spese, di
mastria, materiale, ponti di legname e tutto altro che bisogna, smurare tutti
li finestroni e fenestre, balconi e porticato che al presente esistono ed a sue
spese, come sopra, di maestri, calce, gisso, ponti di legname, corde e
tutt’altro bisognevole situare e mettere sudetti finestroni, fascia, pelastroni
e porticato in detto Palazzo bene e maggistrevomente affizzati (?) e situati,
giusta detto disegno, senza entrare detto spettabile di Proto a cosa alcuna. E
doppo situati sia tenuto ed obbligato, conforme si obbliga detto di Amato a sua
spese come sopra, ammorbare di pasta tutta la facciata di detto Palazzo di
detto spettabile di Proto, che dona a frontespizio di detto Venerabile Convento
del Carmine di questa sudetta Città. Quale tutta sudetta opera di fenestroni,
pelastri, fascia, porticato, ammorbatura ed ogni altro detto di Amato, presente
come sopra, sia tenuto ed obbligato, conferme si obbliga, fare e terminare a
detto spettabile di Proto infra il termine di anno uno correndo di oggi innanti,
dovendo essere terminato nel mese marzo dell’anno entrante 1764, a tenore di
detto disegno unde
Per lo prezzo e
nome di prezzo, attratto di pietra di Siragusa, mastria, manifattura, calce,
gisso, smariatura e [segue termine di ardua trascrizione, ndr] di detta opera,
quanto materiale e tutto altro bisognevole, sino che sarà lesto e terminato
detto travaglio, in tutto di onze centosessanta di denari [segue termine di
ardua trascrizione, ndr] di accordio fra di loro, compresi in dette onze 160
onze venti che sono prezzo del detto porticato. Quali sudette onze
centosessanta, intero prezzo di tutta sudetta opera, detto spettabile di Proto
promise e si obbligò ed obbliga pagare a detto di Amato in quattro soluzioni, a
ragione di onze quaranta in ogni anno e del modo seguente. A conto della prima
paga di sudette onze 40, detto di Amato confessa avere ricevuto da detto
spettabile di Proto onze dieci di denari contanti in moneta di oro, conforme
costa, e le altre onze trenta s’obbliga pagare a tagliata di tonnara dell’anno
presente 1763 in prezzo di tutte tonnine delli pezzi che vorrà detto di Amato.
E non volendo tonnine detto spettabile di Proto si obbliga consegnare al detto
di Amato tanto vino mustale nella vendita prossima ventura 1763; e non volendo
vino mustale si obbliga detto spettabile di Proto consegnare tanto vino di sudetta
vendita 1763 di buona qualità mercantibile e recettibile in detto anno 1763,
con doversi liquidare il prezzo di sudette tonnine, mustale e vino al prezzo
che [seguono due termini di ardua
trascrizione, ndr] come in piazza alla giornata in tempo di detta consegna. Altre
onze quaranta per la seconda paga detto spettabile di Proto si obliga pagargli
a detto di Amato in denari contanti nel mese maggio dell’anno entrante 1764 e
li restanti onze 80, che sono due paghe, si obbliga detto spettabile di Proto
pagargli al detto di Amato in denaro contanti, onze 40 nel mese maggio 1765 ed
onze 40 nel mese maggio 1766 in pace unde alias unde.
Escluso però di
detto desegno, il quale non devesi (?) fare, il cornicione che al presente
esiste, tutte le porte e finestre di sotto con le grade e zoccolature dei
pelastri, ch’esistono a riserva del porticato che devesi fare come sopra
obbligato. Che tutto il materiale d’intagli di tutte le finestre, balconi e
porticato che detto di Amato deve trapiantare restano tutti per conto del sudetto spettabile di Proto, senza
entrare detto di Amato a cosa alcuna de pacto unde. Come anche escluso di detto
disegno il quarto di detto Palazzo del sudetto Don Visconte Proto che sono
quattro fenestroni, non ostante che apparono designati in detto disegno, quali
non [segue termine di ardua trascrizione, ndr] detto di Amato quelli fare e non
altrimente unde.
Testes Don
Antoninus [cognome illeggibile, ndr] et magister Rosarius Maiorana.
Ex actis Iosephi
Majolini pubb.i Not.i huius Mylarum urbis [Archivio Storico e Biblioteca
“Bartolo Cannistrà” del Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico
Ryolo” di Milazzo, fondo marchesi Proto].
§ V
Fornitura ringhiere
Die decimo nono
mensis decembris duod. Ind. 1763
Magister Ioseph
Imbesi, magister Franciscus Malalana et magister Xaverius Scarpaci huius Fid.
Mylarum urbis (…) una simul et in solidum (…) se obligaverunt et obligant Sp.
Baronis Don Franciscus Proto et Patti (…) ut dicitur a loro proprie spese fare
dodeci balconi di ferro nuovo, tanto grande che piccoli, di bona qualità e
condittione, mercantibile e recettibile, dovendo essere uguale a quello balcone
di ferro che ritrovasi nella sala del detto Spettabile di Proto, quali servono
per il Palazzo del detto di Proto posto nel Piano del Carmine. Incominciando a
travagliare d’oggi innanti e consegnarli secondo saranno richiesti dai mastri
muratori che stanno facendo detti balconi di pietra, e darli finiti di tutto
punto nell’ultimo del mese di marzo prossimo venturo 1764, bene e
magistibilmente secondo richiede l’arte in pacem alilas unde (…)
Pello prezzo di
tarì uno e grana sei per ogni rotolo, così d’accordio fra di loro. Quale prezzo
il sudetto Spettabile di Proto, per quanto sarà, s’obligò pagarlo alli detti
d’Imbesi, Malalana e Scarpaci di questo modo, cioè. In quanto alla medietà di
detti blaconi in tanta tonnina salata di tutto sciortimento, secondo i prezzi
che vende lo Spettabile Don Antonino Proto e Mustaccio. E l’altra medietà in
denari contanti. In conto li sudetti d’Imbesi, Malalana e Scarpaci confessarno
d’avere ricevuto dal detto Spettabile di Proto onze otto di denari contanti in
moneta d’oro, come a noi costa. In quanto alla barrili di tonnina, il sudetto
Spettabile di Proto s’obligò consegnarli ad ogni semplice richiesta delli detti
d’Imbesi e q.ti, e tutto il restante pagarlo d’un subito finiti saranno li
detti balconi in pacem alias unde.
Patto che
volendo il sudetto Spettabile di Proto altra robba di ferrame attinente alli
detti balconi, in tal caso li sudetti d’Imbesi e q.ti in solidum, come sopra,
s’obligorno farla al prezzo come sopra, dovendo li medemi assistere allorquando
si devono situare li sudetti balconi. Quali balconi devono essere travagliati
d’una mano deputata (…).
Testes Don Pauus
Proto et Don Petrus Proto et Passaturi.
Ex actis mei
Not. Matthei Filoramo reg. p.ci Fid. Urbis Mylarum [Archivio Storico e
Biblioteca “Bartolo Cannistrà” del Museo Etnoantropologico e Naturalistico
“Domenico Ryolo” di Milazzo, fondo marchesi Proto].
.
§ VI
Esecuzione volta del “camerone”
Die 30 m.s
Ian.rij duod.ae Ind. 1764
Innanti noi
notajo [Matteo Filoramo di Milazzo, ndr] e testimonij infrascritti
personalmente costituito mastro Litterio Bevacqua della Città di Messina ed al
presente in questa Fidelissima Città di Melazzo, presente da me notaro
conosciuto, stipulante, promese e promette e si obligò ed obliga allo
spettabile barone Don Francesco Maria Proto e Patti di questa predetta Città,
presente anche da me notaro conosciuto, fare a sue proprie spese la volta del
cammarone a cielo di carrozza bene e magistribilmente allapazzato ed inchiodato
con chiodi ottantini, ben visto a mastro Francesco Mirenda, bene incannato,
accompagnati li cerchi con chiodi ottantinelli. Con doversi detta volta bene
ingessarla a cerco coverto, incrustarla di calce e gisso e poi darla di pasta,
stocchiarla con suo quatrone e [segue parola di ardua trascrizione, ndr] con
stucco, conforme quello dell’anticamera, con fare il damuso liscio di tavole di
pioppo di bona qualità.
Canne, cerchi,
chiodi, gisso, calce, arena e mastria si computano per canne trentaquattro,
dovendo stocchiare la detta volta uguale all’altra dell’anticamera con suo
quatrone accentinato e [segue parola di ardua trascrizione, ndr] ed [segue
parola di ardua trascrizione, ndr] uguale della volta, con di sotto suoi
mazzoli nelli cantoneri.
E parimenti deve
pecuniare tutte le facciate di detto cammarone con ricciarle e darle di pasta
si computano in canne ventiuno, deve levare le catene di sopra e poi metterle
di sotto il solaro con addentare bene li bordoni di tutto il solaro con dette
catene, con fare li pertuggia ed intivarli con li mezzi squatri con legni di
cinque attratto a tutti li bordoni a spese ed interesse del detto di Bivacqua.
Con dover mettere un legno di mezzo tratto o si squartato, con dover detto
spettabile di Proto dare tutto il ferramento delle catene e chiodi per li
medemi [segue parola di ardua trascrizione, ndr], deve mettere detto di
Bevacqua li chiodi dell’incannato distante l’uno coll’altro oncie cinque o sei,
deve mettere un corrione nel timpagnuolo di una porta e l’altra, li legna di
muro e muro devono essere di due e mezzo a carrata, deve levare l’intavolatura
di legname e deve fare di stucco. E per ultimo deve detto di Bevacqua fare tre
porte secondo richiederà detto spettabile di Proto, tanto di lunghezza, che
d’ogni altro, dovendo detto spettabile di Proto
mettere l’anteporte.
Quale travaglio
di sopra si debba fare nel Palazzo del detto di Proto, posto in questa Città ed
in contrata del Piano del Carmine. Quale travaglio deve essere riconosciuto dal
detto mastro Francesco Mirenda. Quale si obbligò detto di Bevacqua consegnarlo
e finirlo di tutto punto per li 10 del mese di marzo prossimo venturo 1764 in
pace unde alias unde (…) Dello prezzo in tutto di onze 25.10 sì di accordio fra
di loro, in conto del quale prezzo il sudetto di Bevaccqua confessò di avere
ricevuto dal detto spettabile di Proto onze dodeci di denari contanti, come a
noi costa, e tutto il restante il sudetto spettabile di Proto si obligò pagarlo
al detto di Bevacqua, travagliando pagando ed alla fine saldarlo in pace unde
alias unde.
Ed a maggior
cautela e sicurtà del detto spettabile di Proto circa d’ademplire tutto quello
e quanto nel presente si contiene, intercessero e pleggiorno mastro Emanuele e
mastro Rosario Martines della Città di Catania e mastro Antonino Crapè della
detta Città di Messina, ed al presente in questa predetta città ritrovati
presenti da me notaro conosciuti una simul et in solidum etc.
Testes magister
Fran.cus Mirenda et magister Ioseph Cambria magister Franc.ci [segue lacuna
nella copia, ndr - Archivio Storico e Biblioteca “Bartolo Cannistrà” del Museo
Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo” di Milazzo, fondo marchesi
Proto].
§ VII
Fornitura serrature ed altri ferramenti
Die trigesimo
mensis Ianuarii duod. Ind. 1764
Magister
Franciscus Malalana, magister Ioseph Malalana, magister Rochus Lo Presti et
magister Xaverius Scarpaci (…) una simul et in solidum (…) se obligaverunt et
obligant Sp. Don Franciscus Maria Protho et Patti (…) ut dicitur fare a loro
proprie spese l’infrascritti ferramenti pel servigio di undeci finestroni
faciendi da mastro Antonino Crapé, cioè.
In primis due
calascendi di ferro nuovo di lunghezza di palmo uno e mezzo per ogn’uno.
Item un
succhiaro alla spagnola di ferro lungo palmi cinque.
Item ferri alla
genovesa para otto maschi e femine in tutto detto ferramento di sopra deve
ascendere di peso di rotoli due e mezzo in circa.
Quali devono
essere bene e magistribilmente secondo saranno richiesti da mastro Francesco
Mirenda alla ragione di tarì due il rotolo.
E parimente
devono fare sei calascendi per ogni finestrone, cioè tre lunghe di palmi cinque
per uno e tre palmi due per uno, di peso di rotoli cinque e mezzo circa alla
ragione di tarì 1.14 rotolo.
Item dobloni per
ogni finestrone, para numero 32 a grana 2 per ogni doblone.
Item firmatura
con sua chiave a martellazzo con sua piangetta di rame da parte di fuori per
tarì 5.
Item due
mandaletti di ferro con due ciappetti di rame e due bottonetti di rame tondi,
una maniglia di rame ed una boccola a milinciana per il calascende per tarì 5.
Quali ferramenti
servono per ogni finestrone ed invetriate al detto numero di undeci, incominciando
a travagliare d’oggi inannti e consegnarli a richeista del detto mastro
Antonino Crapé, quello stesso che deve fare l’opera di detti finestroni ed
invetriate. Quali tutti devono essere bene e magistribilmente travagliati e
riconosciuti dal detto mastro Francesco Mirenda in pacem alias unde.
Dello prezzo di
tutto di tarì ventisette e grana diecisette per ogni finestrone, così
d’accordio fra di loro. In conto li sudetti di Malalana e q.ti in solidum come
sopra confessarono di avere ricevuto dal detto di Proto onze 5.4.14 come a noi
costa. E l’altro restante il sudetto Spettabile di Proto si obligò pagarlo alli
detti di Malalana e q.ti consegnati saranno detti ferramenti, li quali devono
esser uguale alla mostra che li sudetti di Malalana e q.ti tengono in loro
potere in pacem alias unde. (…)
Testes Rev.
Abbas Don Antoninus de Andò et Don Ioseph Protho.
Ex actis mei
Not. Matthei Filoramo reg. p.ci Fid. Urbis Mylarum [Archivio Storico e
Biblioteca “Bartolo Cannistrà” del Museo Etnoantropologico e Naturalistico
“Domenico Ryolo” di Milazzo, fondo marchesi Proto].
§ VIII
Rifacimento facciata, secondo contratto d’appalto
Die 20 feb.is
1764
Essendo che per
atti infrascritti sotto li 20 marzo 1763 mastro Giacomo Amato della Città di
Messina s’avesse obligato allo spettabile barone Don Francesco Maria Proto a
proprie spese dal detto di Amato fare tredeci finistroni di pietra di Siragusa
nel Palazzo di esso spettabile di Proto nella facciata che dona a frontispizio
del Venerabile Convento di S. Maria del Carmine, cioè sette finestroni nel
primo piano e sei nel secondo piano, con li loro cagnoli e cagnoletti, con sue
balate, d’altezza, larghezza manufattura, lavoro con le cornici e tutt’altro
conforme si espressa ed uguali al disegno che esiste in potere di me
infrascritto notaro sottoscritto da detti spettabili di Proto ed Amato.
Con aversi anche
obligato fare quattro pelastri di detta pietra di pezzi fuori della zoccolatura
sino sotto la prima fascia del primo ordine, con fare la sudetta fascia bene e
magistrevolmente.
Parimenti fare
un porticato di pietra di Siragusa giusta la forma del disegno che manderà
detto di Amato, dovendo fare tutto a spese del detto d’Amato e situarli in
detto Palazzo con mettere tutto l’attratto bisognevole di calce, gisso,
maestria, porte di legname e tutt’altro, senza entrare detto spettabile di
Proto a cosa alcuna.
Quale si obligò
terminare nel mese marzo 1764 per lo prezzo in tutto di onze 160, compresi onze
20 prezzo del porticato, quale detto spettabile di Proto si obligò pagare in
quattro soluzioni a ragione di onze 40 ogn’anno, avendo detto di Amato a conto
ricevuto onze 10 per la prima paga a tagliata di tonnara 1763 e l’altre onze 30
per la prima paga deve pagarli a tagliata di tonnara 1763, onze 40 nel mese
maggio 1754, onze 40 nel mese maggio 1765 ed onze 40 nel mese maggio 1766.
Restando per conto di detto spettabile di Proto il materiale che si spianterà d’intagli,
come meglio per detto contratto alle quali unde.
SEGUE
DESCRIZIONE OPERE GIA’ REALIZZATE, ndr
In adempimento
della sudetta obligazione fu da detto di
Amato fatto il porticato con quattro balconi di sopra, con due pilastroni a
latere, tutte intiere con il cornicione di sopra. E possa la pietra di Siragusa
valutarsi anche di quello esistea con [segue vocabolo di ardua trascrizione,
ndr] alzato altre due palmi di muro. E fatto sopra li due balconetti del quarto
superiore il finimento, e nel balcone di sotto aggiunto la cornice di resalto
per maggiore adorno. Come anche nella camera di dormire fatto li due balconi
con lo stesso ordine. Con avere detto spettabile di Proto pagato al detto di
Amato tutto il sopra più fatto di detti pelastroni, cornicione, sopra più di
pietra delle due balconetti e sopra più di cornice apposta nell’altri balconi,
giusta la stima fatta da’ maestri periti per tutto quello che appartiene di
soprappiù di pertinenza del detto spettabile di Proto pagate al detto di Amato
onze 30 per saldo di onze 40 per la prima paga maturata a tagliata di tonnara
1763, come per apoca per atti infrascritti sotto li [segue lacuna nel
documento, ndr] e resta dovendo per il totale saldo onze 120 a tenore di detto
contratto.
SEGUE
DESCRIZIONE OPERE DA REALIZZARE, ndr
Avendo detto
spettabile di Proto pagato al detto di Amato palmi 300 di pietra di Siragusa
bisognevole per il sopra più di tre pelastroni intiere che si devono fare,
complimento del cornicione, parte di sotto per finimento delle balconi, che si
devono fare. Che però li sudetti spettabili barone Proto e detto di Amato
convengono e si hanno accordato tra di loro che sudetto di Amato, a sue proprie
spese, dovesse terminare tutta la facciata del sudetto Palazzo con fare tre
pelastroni d’alto a basso intiero, terminare il cornicione, e nel fine del
Palazzo, che confina con casa di Don Giovanni Cirino, fare il muro mancante ad
ugualare coll’altro muro. Ed infine situare uno de’ tre pelastroni intiere e
fare tutta la facciata uguale a quello che attualmente esiste fatta e
terminata, ove vi è il porticato, compresa anche la facciata del quarto del fu
Don Visconte Proto. Nella quale facciata deve fare detto di Amato due balconi,
uno nel primo piano e l’altro nel secondo, uguali a l’altri balconi. E di sotto
fare una rosciada, seu grada, con fare il resto del muro in alto ed il
cornicione uguale a quello fatto. E di sotto fare tre porticati di pietra di
Siragusa uguali a quello che al presente esiste situato. E nella parte che
confina con il detto di Cirino fare due balconi, uno di sotto e l’altro di
sopra. Con che nell’antecamera che confina con il quarto del porticato, ove per
lo bisogno detto di Amato dovea fare due balconi di sotto e l’altri due di
sopra, solamente ne debba fare uno sotto e l’altro sopra, stante che l’altri
due li debba situare nel quarto del detto fu Visconte. Di modo che debba detto
di Amato in tutto fare tre balconi nel primo piano e cinque nel secondo, oltre
delli due balconi che sono fatti nel camerone nel primo piano, tre pilastroni,
tre porti di sotto, una rosciada. Ed in fine del cornicione e tutt’altro
bisognevole uguale al quarto terminato, ove il porticato. Per lo prezzo in
tutto di attratto e maestria, calce, gisso, porte ed ogn’altro di onze 107. Con
obligo di doverle pagare per conti. E detto di Amato debba far travagliere li
maestri di giorno in giorno senza mancare un giorno fino che sarà terminata l’opera
sudetta, senza essere più obbligato detto spettabile di Proto a fare le paghe
sudetto come sopra, ma sudette onze 107 sono per l’intiero e totale pagamento, con
che detto di Amato si debba valere delle palmi trecento di pietra pagata da
detto spettabile di Proto senza paga alcuna. E perciò divengono
all’infrascritto contratto del modo e forma come siegue.
PATTI E
CONDIZIONI DEL NUOVO CONTRATTO, ndr
Perciò oggi
presente preterito giorno Mastro Giacomo Amato della Città di Messina, al
presente in questa sudetta Città di Milazzo, ritrovato da me notaro conosciuto,
in virtù del presente ed ogn’altro miglior nome e modo unde spontaneamente
confessa aver avuto e ricevuto dal sudetto spettabile barone Don Francesco
Maria Proto di questa sudetta Città, presente anche da me notaro conosciuto,
onze ottantadue, cioè onze venti in danari contanti conforme costa, onze dieci
per una lettera di cambio fatta da detto barone Proto, diretta al Reverendo
Padre Fra Flaminio Proto, suo fratello, in Messina, pagabili al detto di Amato,
ed onze 52 in prezzo di tonnine diversi sorti ricevuti dal detto di Amato
conforme di [seguono due vocaboli di
ardua trascrizione, ndr] unde.
A complimento di
onze 107, onze 25 restano in potere del sudetto spettabile di Proto ad effetto
quelle soccorrere e pagarle ai maestri operaj che travagliano per l’opera
suddetta in detto Palazzo a [segue abbreviazione di ardua trascrizione] e per
discarico di detto di Amato, tanto per maestrie bisognevoli che per attratto
necessario. E con la condizione che non essendo bastevoli sudette onze 25 per
dette maestrie ed attratto per compire e finire tutta sudetta opera secondo
l’infrascritta obligazione, resta responsabile e sia tenuto nominare proprio
detto di Amato all’intiero pagamento e supplimento di tutto quello bisognerà
per adempimento della presente obligazione. Stante il quale pagamento come
sopra fatto e per le sudette onze 107, per la presente nuova convenzione ed
accordio non recedendo da detto presente contratto circa alle condizioni in
esso espressate, detto mastro Giacomo Amato, presente come sopra, in virtù del
presente, a sue proprie spese, di pietra di Siragusa, maestrie, calce, gisso,
porte di legname, attratto, e tutt’altro bisognevole promise e promette, e
s’obligò ed obliga, a detto spettabile Don Francesco Maria Proto, presente come
sopra, terminare di tutto punto il sudetto Palazzo, con dovere mettere tre
balconi nel primo piano, con suoi cagnoli, cornici e balate, ed altre cinque
balconi, seu finestroni, nel secondo piano, cioè uno sopra e l’altro sotto nel
quarto del fu Don Visconte Proto, altre due nel quarto collaterale alla sala
(?), uno sotto e l’altro sopra, altri due nel secondo piano sopra li due
balconi fatti al presente nella camera di dormire di detto spettabile di Proto
e l’altri due balconi, seu finestroni, nel quarto che confina colla casa di
detto Don Giovanni Cirino, uno di sotto e l’altro di sopra, ove deve detto di
Amato terminare la fabrica mancante sino al cornicione, come anche fare tre
pelastroni di alto basso tutte intiere di pietra di Siragusa. Uno de’ quali
situarlo nel fine del Palazzo che confina con detto di Cirino. Parimenti fare
tre porticati di pietra di Siragusa a situarli ove sono quelli antichi. E nel
quarto del fu Don Visconte fare e mettere una rosciada, seu grada, uguale a
quella che al presente fu nuovamente fatta. Di modo che s’obliga detto di Amato
terminare tutto l’intiero Palazzo della facciata d’innanti uguale alla facciata
del quarto fatto, ove il porticato nuovamente fatto, e per ultimo terminare e
fare tutto intiero il cornicione di sopra uguale a quello che si ritrova fatto.
Con fare tutta quella fabrica necessaria giusta quella si fece per la
situazione di detto cornicione fatto. E annarbare tutta la restante facciata di
pasta come quella ch’esiste, dovendo
detto di Amato smurare tutte le finestre rosciade e porte a sue spese come
sopra.
E situare quello
nuovamente con doversi valere detto di Amato delli palmi 300 di pietra di
Siragusa pagati da detto spettabile di Proto per sudetta opera senza pagare
cosa alcuna. Itachè restando pietra di Siragusa tanto delli palmi 300, che di
quelle portate da detto di Amato per suo conto, detta pietra di sopra avanzo
restar deve per conto del sudetto spettabile di Proto. E caso mai sudetta
pietra non fosse sufficiente detto di Amato sia obligato, conforme si obliga,
comprare a sue spese tutta quella pietra che sarà mancante per compire sudetta
opera, non dovendo detto di Amato entrare alla cantonera che dona nella vanella
di S. Agostino del quarto del fu Don Visconte.
E bisognando
acconci e altro debba farli detto spettabile di Proto, dovendo essere tutta
sudetta opera bene e magistrevomente fatta ogni cosa a spese del detto di Amato
e niente meno. Ed uguale al quarto fatto del porticato.
Quale opera si
obliga detto di Amato farla terminare incominciando d’oggi innanti e
successivamente di giorno in giorno travagliare senza far mancanza di un giorno
di lavoro, sino che sarà terminata tutta sudetta opera. Altrimenti sia tenuto ed
obligato detto di Amato a tutti li danni, spese ed interessi. In caso di
mancanza di prendersi detto spettabile di Proto tutti quelli maestri
bisognevoli ed attratto necessario per compire sudetta opera a’ danni ed
interessi del detto di Amato in unde alias unde
Con patto che
detto spettabile di Proto sudette onze 25 che restarono in suo potere li debba
soccorrere alli mastri per detto travaglio giusta la nota lasciata e firmata
dal detto di Amato de patto unde
E perché
nell’anticamera giusto il primo disegno dovea detto di Amato situare, uno sotto
e l’altro sopra, e l’altri due situarli nel quarto del fu Don Visconte del modo
come sopra si è espressato.
E stante il presente
nuovo convenio detto spettabile di Proto non resta più responsabile al
pagamento del primo contratto per avere pagato tutta l’intiera opera di
suddette onze 107, oltre il pagamento fatto delle sudette onze 40, per aversi
tra esse parti accordato. Epperò sudetto primo contratto sia e s’intenda casso
e nullo ademputa dal detto di Amato l’opera sudetta, dichiarando reciprocamente
detti spettabili di Proto ed Amato dal passato e presente appieno soddisfatti
non solo del sopra più di servigio fatto nell’opera fatta, m’anche per prezzo di
legname orethenus venduto dal detto di Amato al sudetto spettabile di Proto. E
le suddette onze 107 sono per il totale saldo di tutta sudetta opera ed
obbligazione che far deve detto di Amato e non altrimenti unde.
Testes: Rev.s
Sac.s Don Antoninus de Andò et Don Antoninus Majolino
Dagli atti del quondam notaro Don Giuseppe Maiolino
di Milazzo [Archivio
Storico e Biblioteca “Bartolo Cannistrà” del Museo Etnoantropologico e
Naturalistico “Domenico Ryolo” di Milazzo, fondo marchesi Proto].
§ IX
La concessione in enfiteusi del 1764
Il marchese Francesco Maria Proto acquisisce nel
1764 la porzione del palazzo, sita nel «Piano del Carmine che confina con
vinella di S. Agostino», in pessime condizioni statiche e spettante al figlio
minore del defunto Don Visconte Proto. Nel memoriale, redatto a cavallo tra Sette
ed Ottocento, vengono indicati taluni adempimenti burocratici dettati dalla
normativa in materia di alienazione sui beni di proprietà dei minori.
Questa porzione di palazzo aveva un portale tutto
suo, sull’odierna via Porto Salvo, la “vinella di S. Agostino”. Ne fa fede una
perizia del 1793, dove si legge quanto segue: «per un porticato di pietra di
Siragusa nella vanella di S. Agostino si valuta onze 6». Il “porticato” della
porzione di palazzo un tempo appartenente a Don Visconte Proto era ancora presente
nel 1928. Ne fa fede una fotografia scattata proprio in quell’anno.
…questa pruova
testimoniale, dopo la prima provista, viene inserita nel contratto di
alienazione nel modo seguente:
«(…) Magister
Franciscus Sarai, ann. 65, receptus cum juramento (…) dice esso testimonio che
il fu Don Visconte Proto, figlio di Don Paolo, fra gli altri beni suoi, dopo la
sua morte, lasciò un quarto di casa seu Palazzo grande con diverse officine,
posto in questa città di Milazzo e quartiero del Carmine, quale è ridotto quasi
che minaccia rovina. E per ristorarlo vi abbisognano gran somme di denaro per
renderlo abitabile. E che anche per la sua manifesta decadenza si rende
difficile pure a gabellarsi. Onde dice esso testimonio che sarebbe di grande
utiltà e beneficio a favore del figlio minore di detto fu Don Visconte [il giovane Don Giovanni Proto e Cirino, ndr] concedersi a censo redimibile e
così detto minore godere dell’annuale rendita e non perdere dall’intutto detta
casa etc. etc.»
Alla deposizione
di questo testimonio ne sieguono delle altre concepite negli stessi sensi.
Mostrato nel modo anzidetto il vantaggio dell’alienazione s’ottenne la seconda
provista per l’alienazione [in data 15
ottobre 1764, ndr] (…). Dopo queste sollennità, che nell’ordine che le
abbiamo esposte vengono riportate nel contratto di alienazione, si concesse ad
enfiteusi la parte del Palazzo al marchese Don Francesco [Maria] Proto, che si obbligò al canone di onze 4 annuale.
Divenuto
proprietario il marchese Proto, onde impedir la ruina del Palazzo, e per fare
una decente e commoda abitazione, ricostruì per intiero tanto la parte da lui
conseguita nella divisione, quanto quella acquistata in enfiteusi, erogando
ingenti somme per le quali il Palazzo ebbe nuova e più decorosa forma (…) [Archivio
Storico e Biblioteca “Bartolo Cannistrà” del Museo Etnoantropologico e
Naturalistico “Domenico Ryolo” di Milazzo, fondo marchesi Proto].
§ X
Interventi eseguiti nel 1808/09
- Pietra
Siragusa impiegata a… del portone… ed altro, in tutto palmi 2090 cub[ic]i,
quali ragionati a tarì 3 palmo importano…
- Pietra per 4
colonne palmi 213 cub.i che a tarì 3.6 palmo senza lavoro secondo la relazione
importano, onze…
- La pietra per
le 4 base e capitelli di dette colonne si paga come la relazione, onze…
- Per il lavoro
di dette colonne con basi e capitelli secondo la relazione, onze 24;
- Telajo di
marmo di Taormina del portone palmi 91 b. cub.i che a tarì 20 palmo
[importano], onze 30.17.20;
- Al detto
telajo si fece membretto di marmo bardiglio di Genova (?) in palmi 14 cub.i
quale (?) si paga per solo marmo a tarì 18 palmo, onze 8.12;
- Per secatura e
lavoro di detti in palmi 36 quale (?) si paga a tarì 4 palmo, onze 4.24;
- Per soprapiù
di lavoro della menzola del portone, onza 1;
- Si lavorò il
soglio di detto portone di marmo del p.ne, onze 1.18;
- Si fece la
base e capitello con pezzi sani di marmo bardiglio della colonna di marmo,
all’imboccatura della scala in palmi 20 cub.ci quali si pagano per solo marmo a
tarì 18 palmi cub.i, onze 12;
- Per secatura di
detti pezzi secondo le misure di detta base e capitello e per lavoro delle
medesimi, si paga onze 7;
- Per essersi
tagliata la colonna sudetta e riquadrata, onze 0.24;
- Per soprapiù
di lavoro delle due mezze colonne con basi nel fronte di detta scala, onze 2;
- Per due
capitelli a dette colonne di pietra e maestria, onze 1,10;
- Per sopra più
di lavoro di quattro archi di pietra Siragusa in detta scala lavorati a
capettoni (?), onze 3;
- Per il lavoro
di due modiglioni e festoni nel finestrone sopra il portone, onze 2;
- Per il lavoro
di n. 13 mutoli nella cornice del portone con diglisi (?) all’architrave, si
paga, onze 2;
- (…) Per n. 54
cagnoletti di pietra Siracusa del brinzato (?), si pagano per pietra e maestria
a tarì 4 per uno, onze 7.6 [Archivio Storico e Biblioteca “Bartolo Cannistrà”
del Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico Ryolo” di Milazzo, fondo
marchesi Proto].
§ XI
La quietanza dell'architetto Antonio Tardì (1812)
§ XII
I lavori nel Palazzotto Lucifero (1812)
Il cospicuo patrimonio ereditario dei Baeli venne
ripartito tra i baroni Lucifero ed i marchesi Proto. Non fece eccezione il
grande palazzo del Piano del Carmine, che ancora alle soglie dell’Ottocento
annoverava tra i suoi comproprietari anche qualche Lucifero, perlopiù nelle due
ali del palazzo prospicienti, rispettivamente, sulle odierne via Umberto I e
vico Porto Salvo.
In particolare, nel vicolo, i Lucifero risultavano
proprietari nella seconda metà del Settecento di un palazzotto autonomo, con
proprio “porticato”, un palazzotto gravemente danneggiato dai terremoti del
1783 e confinante con la “casa palazzata” del marchese Proto e -
presumibilmente nell’atrio - con proprietà degli eredi di Giovanni Cirino.
Negli anni Dieci dell’Ottocento questa autonoma
porzione sul vicolo dell’originario grande Palazzo Baeli risultava ancora
abitata da Don Emanuele Lucifero, che nel 1810 ne fece dono al marchesino
Francesco Maria Proto, riservandosi tuttavia l’usufrutto del primo piano sino
alla sua morte ed a quella della propria consorte.
Dopo i terremoti del 1783, il palazzotto venne di
fatto abbandonato per quasi 19 anni, fin quando, nel 1812, intervennero
risolutivi interventi di restauro che prevedevano, tra l’altro, la
trasformazione di due finestre in altrettanti «balconi di quattro cagnuoli di
pietra di Siragusa».
Nel giorno tre
marzo decimaquinta Ind. 1812
Personalmente
costituiti innanti a noi notaio e testimonj infrascritti mastro Giuseppe
Coppolino, falegname, e mastro Gioachino Nastasi, murifabro, di questa Sempre
Fidelissima e Leale Città di Milazzo, da me notaro conosciuti, in vigor del
presente (…) promisero e promettono e si hanno obbligato ed obbligano a Don
Emmanuele Lucifero di questa suddetta Città, da me notaro anche conosciuto,
presente, stipulante, riattare il quarto inferiore di quella casa grande posta
in questa sudetta città e nel quartiero di S. Agostino, ove al presente abita
detto Signor di Lucifero. Con fare detti mastri di Coppolino e Nastasi tutto
quello e quanto di sotto viene descritto, e ciò a sue proprie spese bene e
magistrevolmente, secondo richiede l’arte, con dovere dare di mano da oggi
innanti e consegnarlo per tutti li 31 maggio prossimo venturo 1812 e questo del
modo che siegue, cioè.
Primieramente
dobbono detti mastri di Coppolino e Nastasi costruire numero tre camere finite
di tutto punto, come ricerca l’arte, e secondo il presente costume. Cioè, una
nel camerone, altra nell’antecamera e la terza nella camera ove tiene il letto
detto Signor di Lucifero, che corrisponde nell’atrio. Intonacare le
corrispondenti camere e pastiarle con calcina perfetta bianca,
coll’obbligazione ancora di ridurre le due finestre di mezzo della facciata,
cioè una nell’antecamera e l’altra nel camerone, a due balconi di quattro
cagnuoli di pietra di Siragusa, travagliati di liscio con sua corrispondente
cornice, e che siano larghi di lame palmi cinque e lunghi palmi undeci e di
getto larghi palmi due e tre quarti e lunghi palmi undeci e mezzo, con suo
balcone di ferro quatronello e corrispondenti sue vetrate di vetri piccioli e
portiere corrispondenti, con suoi ferramenti, pittate e finite di tutto punto.
Dippiù devono
cambiare in finestra il balcone di pietra intagliata, e di quello che resterà
del balcone sudetto correre per detti mastri per loro conto. Come ancora devono
serrare la bocca dell’alcova di calce ed arena, lasciando l’apertura di una
portiera che devono costruire lesta di tutto punto, pittata e con suoi
corrispondenti ferramenti.
Come pure
devono fare un timpagnuolo nella
suddetta camera con un picciolo solaretto, che situar si deve sopra il tamburo
della scala, con picciola scala per salire e sua porta corrispondente, che si
adatterà a quella situata nel camerone.
Ed ancora devono
fare due portiere, dovendo essere pittate, fornite e lavorate all’uso presente,
inclusa quella nell’arcova.
E per finire
deve situare una finestra d’intagli con le medesime aperture e vetrate
nell’arcova e costruirla a balconetto a petto con un cagnuolo e sue piccole
balate, che corrisponde nel comune scoverto (…) [Archivio Storico e Biblioteca
“Bartolo Cannistrà” del Museo Etnoantropologico e Naturalistico “Domenico
Ryolo” di Milazzo, fondo marchesi Proto].
§ XIII
La ricostruzione nel secondo dopoguerra: la relazione dell'ing. Cesare Fulci (1952)
1951, il corteo funebre dell'eroico Luigi Rizzo giunge in piazza Caio Dulio. La salma era appena sbarcata nel Molo Marullo dal “Luigi Rizzo”, che allora faceva la spola tra Milazzo e le Eolie. Leonardo Fuduli, titolare dell'omonimo negozio di tessuti, si affaccia dal balcone di casa, sul negozio, ed immortala il corteo in una Milazzo che presenta ancora le ferite dei bombardamenti aerei angloamericani: il Palazzo dei marchesi Proto appare difatti quasi interamente sventrato dalle bombe. Sarebbe stato ricostruito di lì a poco, restituendo decoro alla più importante piazza cittadina (gentile concessione Sig. Momi Fuduli).
La foto è stata scattata in piazza Caio Duilio intorno al 1954. L'incubo del secondo conflitto mondiale si allontana sempre più. Accanto al Palazzo dei Marchesi Proto, ormai ricostruito dopo le devastazioni arrecate dai bombardamenti aerei, si pensa a ricostruire anche l'antico ed attiguo Palazzo Zirilli, acquisito nel frattempo dalla famiglia Sfameni. La signora di spalle cammina sul marciapiede con la borsa in mano, lungo quel che resta del palazzo, che di lì a poco farà posto al moderno edificio del Banco di Sicilia (gentile concessione dott. Francesco La Spada).
Un documento attestante la presenza di un «porticato di pietra di Siragusa nella vanella di S. Agostino», ossia nell'odierno vico Porto Salvo, porticato oggi non più esistente e sostituito dalla vetrata del negozio sito ad angolo con piazza Caio Duilio. Nel vicolo si aprivano due "porticati", quello di Palazzo Proto e quello ancora esistente dell'attiguo Palazzotto Lucifero, palazzotto inglobato nel tempo dallo stesso Palazzo Proto. Nella foto in basso del 1928 si notano nel vicolo entrambi i portali.